I giornali di provincia facevano capo a parlamentari che se ne servivano per influenzare il proprio collegio di riferimento. Le risorse per la gestione di un piccolo giornale erano limitate, condizionate dalla variabilità dei rapporti che il politico intratteneva con le forze economiche (banche, imprenditoria e industria locali) di cui peraltro era espressione. Quanto più il bilancio gestionale risultava sano, tanto più esistevano le condizioni perché una testata fosse indipendente. Indipendente, è ovvio, in modo relativo, mai assoluto: un giornale, che non subisca pressioni sulla libertà d’informare, è irrealizzabile, sta fuori dalla realtà. Affinché il nostro continuasse a uscire si rendeva indispensabile una conduzione oculata, parsimoniosa, che non prevedeva nell’organico della redazione la figura dell’inviato. Un giorno il direttore comunica di volerci mandare a Firenze (da cui la nostra città dista parecchie centinaia di chilometri) dove era in programma il congresso nazionale di un ordine professionale del quale bisognava pubblicare il resoconto dei lavori. Non c’era l’obbligo di accettare, per ragioni squisitamente economiche. Questa la proposta: i pernottamenti (tre), a carico della società organizzatrice dell’evento; i biglietti del viaggio, in treno, sborsati dall’amministratore della testata; a noi spettava la spesa per cibarci. Insomma persino nei giornali, una volta, si adottava la formula di pagare «alla romana»: ognuno avrebbe versato una parte, come tra amici in pizzeria. Che si faceva, per un articolo! Partimmo. I lavori si svolsero al Palazzo dei congressi, l’albergo si trovava in via Della Scala: il tutto ruotava intorno alla stazione di Santa Maria Novella. Invece di scrivere un pezzo al giorno, stendemmo un «pastone» conclusivo di sei cartelle che fu pubblicato al rientro in sede. Nel lasciare Firenze, alla hall c’invitarono a saldare il conto: 350.000 lire. Restammo di sasso. A parte che non possedevamo tale somma, che le carte di credito all’epoca circolavano soltanto fra ricchi, quale malinteso increscioso era sorto? Il portiere non voleva saperne di accordi pregressi coi responsabili della società che ci aveva accreditati. Ribadendo di essere della stampa, la situazione si aggravava: «quando ci sono di mezzo giornalisti – affermava – va a finire che nascono sempre equivoci e imbrogli». Dalla cabina a gettoni tempestammo di telefonate gli organizzatori del meeting, che mettemmo in contatto col direttore dell’albergo. Dopo un’ora di discussioni e la camicia sudata l’inghippo parve districarsi. Ci lasciarono andar via pur se poco convinti e a passo svelto, superate le due piazze, c’infilammo in stazione smarrendoci tra la folla che arrivava e che partiva.