Un altro arsenale Usa per la monarchia waabita. È la «compensazione» dell’amministrazione Obama dopo lo storico accordo con l’Iran.

Ma anche l’Italia – sull’onda della recente visita ufficiale di Renzi a Riyad – rifornisce militarmente l’Arabia Saudita come dimostra il cargo partito da Cagliari Elmas alla volta della base di Taif con la stiva zeppa di bombe come le MK84 e Blu109 che i sauditi hanno sganciato nello Yemen.

Washington si preoccupa di proteggere le riserve di petrolio in Medio oriente. Il 16 novembre il Dipartimento di Stato ha approvato la «possibile» fornitura di 1,29 miliardi di dollari di materiale bellico all’Arabia saudita. Formalmente, spetta al Congresso entro 30 giorni autorizzare il trasferimento delle armi: un consenso che appare più che scontato. Tanto più che il ministro saudita degli esteri Adel al-Jubeir ha già espresso soddisfazione soprattutto perché arriveranno anche ordigni con tecnologia satellitare, in grado di colpire con «precisione chirurgica» gli obiettivi a lungo raggio.

Così le forze armate saudite si confermano migliori «clienti» del commercio di armi: nel 2014 l’Arabia Saudita ha speso il 17% del bilancio (80,8 miliardi di dollari) a beneficio del ministero della difesa. È un «mercato» che non lascia certo indifferente anche la nostra Finmeccanica, con al vertice Giovanni De Gennaro e Mauro Moretti.

La luce verde Usa è scattata dal Defense Security Cooperation Agency (Dsca): manca solo il nulla osta defintivo alla consegna delle «attrezzature». La lista è lunga e dettagliata. Viene «segnalata», tanto per cambiare, dal sito Wikileaks già attivo sul fronte della pubblicazione dei «Saudi Cables» più confidenziali. Decine di migliaia di ordigni destinati all’aviazione militare dello stato islamico in versione alleata: dalle 5.020 bombe a guida laser modelli Gbu 10 e Gbu 12 alle 2.300 Blu 117 per «uso generale» da 2.000 libbre di peso, dalle 1.500 «Penetrator Warheads» alle 10.200 spolette del tipo Fmu-152.

Ma nel pacchetto bellico made in Usa c’è un po’ di tutto, a dimostrazione che il supporto logistico, oltre che politico, è pieno e incondizionato. La specifica del Dipartimento di Stato contiene «adattatori, meccanismi di fusione, girelle, link di supporto e connessione insieme a pubblicazioni tecniche, come manuali di sistema, ingegneria e mezzi di trasporto a supporto del trasporto aereo». Strumenti per fare la guerra e affrontare «le minacce nella regione» richiesti nel dettaglio dai militari sauditi qualche mese fa. Elenco mirato e soppesato sull’attuale scenario in Medio Oriente, che include a peno titolo la guerra di Riyad (finora a bassa intensità e per procura) nello Yemen contro i pasdaran di Teheran.

Ufficialmente «l’acquisto serve a rifornire la Royal saudi air force (Rsaf) impoverita a causa del ritmo operativo elevato in più operazioni antiterrorismo. E queste munizioni ricostruiscono le riserve di guerra dell’Arabia e forniscono opzioni per rischi futuri» come è scritto nel preliminare.

Il documento riporta senza troppi fronzoli diplomatici anche il motivo di base della chiusura dell’affare che «contribuirà a sostenere forti relazioni militari tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita e a migliorare l’inter-operabilità per affrontare le minacce regionali e salvaguardare le maggiori riserve di petrolio del mondo». È lo stesso «combustibile» che arricchisce le casse di Daesh e l’«interoperatività» degli Usa è diretta al regime che (insieme agli altri regni del Golfo) finanzia la galassia dell’Isis.

Un paradosso letale? Per niente, secondo l’amministrazione americana, che anzi ribadisce: «Fornendo questi articoli per la difesa gli Usa sostengono le missioni di difesa dell’Arabia e promuovono la stabilità nella regione».

Del resto, il governo di Washington ha già approntato il nuovo «rifornimento» per Israele: 3.000 missili Hellfire (destinati ad elicotteri o droni), 250 missili aria-aria a media gittata, 4.100 bombe convenzionali. La novità riguarda però le 50 bombe BLU-113 super penetrator: ideate appositamente per bersagli come i bunker corazzati, sono in grado di perforare sei metri di muratura blindata. Sembrano perfette nel caso in cui Israele mettesse nel mirino le basi sotterranee nucleari dell’Iran…

L’aviazione dell’Arabia Saudita impegnata nella guerra nello Yemen otterrà presto dieci elicotteri Seahawk MH-60R armati e 38 missili Hellfire. Un ulteriore “affare” visto che Riyad ha già acquistato armi dagli Usa per ben 90 miliardi di dollari dal 2010 al 2014.

L’unica vera preoccupazione, nero su bianco, di Washington sono giusto i possibili «effetti negativi della vendita sulla prontezza difensiva degli Usa», ma la Dsca assicura che non c’è alcun rischio. Al contrario solo vantaggi: «Sostenere le capacità militari saudite scoraggia attori ostili, aumenta l’operabilità militare tra Usa e Arabia e ha un impatto positivo sulla stabilità dell’economia globale».

Economia puntellata, dunque. Anche se la regione – dalla Siria all’Iraq, dall’Afghanistan alla Palestina – rimane instabile e abbondantemente fuori controllo mentre le bombe colpiscono l’Europa. Ma tant’è, per l’amministrazione del democratico Barack Obama «l’acquisizione convoglia direttamente l’impegno degli Stati Uniti di sostenere operazioni di combattimento».

Con buona pace della guerra al terrorismo.