Un fascio di colori arcobaleno nella casa del calcio inglese. La prima squadra Lgbt in Inghilterra che gioca la prima gara di campionato a Wembley. Non è una favola, ma forse la sera più attesa da decenni dallo Stonewall FC, una costola di Stonewall UK, l’organizzazione per la tutela dei diritti civili in Europa, all’esordio nel torneo semiprofessionista Division One Football & East League della Middlesex County League. Ha anche vinto, lo Stonewall, 3-1, contro un club di una minuscola contea, ma davvero il risultato conta poco. E’ contato esserci. L’invito a calcare l’erba del tempio del pallone britannico allo Stonewall è arrivato dalla Football Association, dalla federcalcio inglese. Un segnale importante, di riconoscimento, la squadra degli omosessuali, dei transgender, dei diversi, che gioca sullo stesso prato di simboli come Bobby Charlton, Stan Matthews o David Beckham. E in campo per lo Stonewall c’era anche Pitter, Aslie Pitter, ex calciatore, 58 anni, nero, che ha contribuito a fondare il club, 27 anni fa.

IN PRECEDENZA una carriera da caratterista nel Sutton United, anche un provino nel glorioso Wimbledon, prima che un compagno di squadra al Clapham Old Boys scoprisse la sua omosessualità e quindi rapidamente retrocesso dalla prima alla quarta squadra, vittima di razzismo. Compreso un faccia a faccia con il capitano della squadra, da cui erano arrivati insulti omofobi. Anche il percorso con lo Stonewall FC sui campetti di periferia non è stato semplice. Insulti dagli spalti nelle prime esibizioni, l’accusa ai calciatori di pedofilia, l’insinuazione che fossero ammalati di Aids, quando – più di ora – lo stigma era ingombrante quanto il virus. E anche l’anatema verso gli omosessuali, non degni di rivendicare i loro diritti. Mentre la mission dello Stonewall è invece creare un tessuto in cui chi scende in campo (ma non solo) possa sentirsi pienamente a suo agio, una squadra inclusiva (l’80% dei calciatori è omosessuale) che riesca a mandare a segno i diversi orientamenti sessuali, religiosi, politici. Pitter sa – anche dopo la vetrina di Wembley – che la strada verso l’integrazione, verso l’inclusività è ancora lunga, anche se l’impegno per i diritti civili dell’associazione Stonewall è stato sposato dai diversi club di Premier League, con la lega che ha stretto una partnership con l’associazione, l’anno scorso.

E QUINDI arcobaleni contro l’omofobia in tanti stadi, a sostegno della campagna Rainbow Laces (Lacci Arcobaleno) che dura 20 giorni ogni anno, tra novembre e dicembre, ultimo caso al Vicarage Road, la casa del Watford, durante il match di un paio di sere fa contro il Manchester City di Pep Guardiola. Ma Kick It Out, la principale organizzazione no profit anti discriminazione nel calcio inglese proprio qualche giorno fa ha riportato tutti sulla terra, facendo sapere, attraverso uno studio, che l’omofobia è sempre più presente nelle tribune, negli spogliatoi, specie nei tornei professionistici, mentre in quelli amatoriali ci sarebbe più apertura, tolleranza. E meno ignoranza.