La storia dei sensi (olfatto, gusto, affetto, passione e altro ancora) è uno degli ambiti di ricerca della nuova storia culturale, quella che si occupa di settori del vivere umano nei quali l’apporto della storiografia necessita di interagire con altre scienze sociali, e talvolta con le scienze tout court.
È anche un ambito che porta la ricerca storica ai suoi margini estremi e richiede una messa a punto teorica, sulla quale negli ultimi anni in molti si stanno esercitando. Tra questi Jan Plamper, che nel 2012 ha pubblicato un libro intitolato Geschichte und Gefühl (Storia ed emozioni), nel 2015 tradotto in inglese come The History of Emotions, e che oggi appare in Italia come Storia delle emozioni (il Mulino, pp. 236, euro 30).

IL TITOLO ORIGINALE è quello più preciso, sebbene per una sfumatura; l’espressione «storia delle emozioni» lascia pensare che Plamper tracci una storia dell’evoluzione storica delle emozioni, mentre invece il suo testo propone soprattutto un quadro teorico, accompagnato da alcuni esempi. Si tratta di una rassegna dei diversi modi con cui le emozioni sono state trattate, poiché l’opinione di Plampers è che gli storici abbiano bisogno di una definizione operativa delle emozioni e di una meta-categoria (l’emozione) con la quale lavorare; senza questa riflessione, ogni indagine empirica sulle emozioni nella storia rischia di essere eretta su basi poco solide.

SOSTANZIALMENTE, e al di là delle mille sfumature che si possono incontrare negli studi a riguardo, le posizioni principali sono due: la prima appartiene all’ambito delle neuroscienze, dalle quali emerge l’idea che le emozioni siano radicate in un sostrato organico all’essere umano, e dunque rappresentino degli universali; in alternativa, abbiamo il relativismo dell’antropologia e della sociologia socio-costruttivista, secondo cui non vi sono universali, ma solo costruzioni culturali. Insomma, una riedizione del dibattito antico fra natura e cultura. Plamper sembra pensare che sia possibile trovare un minimo comune denominatore, magari non definibile allo stato attuale della ricerca, ma la quadratura del cerchio è ancora lontana.

Per quanti fossero interessati a queste nuove vie alla storia e alla interdisciplinarietà, la Storia delle emozioni di Plamper è consigliabile. Uno dei suoi grandi meriti sta nella capacità di recensire la ricerca sulle emozioni organizzandola cronologicamente, a partire dal diciannovesimo secolo e talvolta anche prima, e per campi di studio: la storia, certo, ma soprattutto l’antropologia, la psicologia, la psicoanalisi e le neuroscienze.

PER LA STORIA, il riferimento principale nella storiografia attuale è Barbara H. Rosenwein, della quale in Italia abbiamo letto di recente Generazioni di sentimenti. Una storia delle emozioni, 600-1700 (Viella). Ovviamente più ricche le sezioni contrapposte fra il socio-costruttivismo (soprattutto antropologico) e l’universalismo delle scienze della vita. Il libro si conclude con alcune prospettive di ricerca che sembrano poter superare questo dualismo. Per lo storico, che pratica una disciplina almeno in parte empirica, che deve cioè analizzare situazioni concrete, il problema di fondo risiede nel fatto che ciò che noi etichettiamo come emozioni passano attraverso il linguaggio, tanto orale quanto scritto.

I TERMINI nei quali le emozioni si esprimono sono già un filtro potente attraverso il quale passare, e tali termini non possono che essere culturali, non naturali. Se attraverso questi è possibile intravedere una natura umana comune è difficile a dirsi, e forse non è neppure compito dello storico, o almeno non lo è stato finora: la prospettiva che possa diventarlo è senza ombra di dubbio affascinante.