Era il 7 aprile 2018 quando il mondo ha assistito esterrefatto all’arresto dell’ex presidente Lula, al termine di un processo farsa che ha indignato i giuristi di tutto il mondo. Un anno dopo, a mobilitarsi in difesa del primo prigioniero politico del Brasile dalla fine della dittatura è un gran numero di movimenti e organizzazioni, dentro e fuori il paese.

Il primo atto di solidarietà legato alla Jornada Internacional Lula Libre si è svolto proprio ieri a Roma dove la Cgil, insieme al Comitato italiano «Lula Libero», ha promosso un grande incontro nella sede di Corso d’Italia con la presenza, tra molti altri, di Gilberto Carvalho, capo gabinetto del governo Lula e suo strettissimo consigliere. Proprio con lui abbiamo discusso dell’attuale situazione del paese.

Come sta Lula?

È forte e attivo, informatissimo su tutto ciò che accade. E anche molto arrabbiato per la follia di trovarsi in prigione senza aver commesso alcun crimine. Dal carcere lui non vuole uscire per altra via che non sia quella del riconoscimento della sua innocenza, al punto di essersi rifiutato tassativamente di chiedere gli arresti domiciliari per ragioni umanitarie. Si tratta di una questione di onore. Tuttavia, se il Tribunale superiore di giustizia, considerato il terzo grado di giudizio, opterà per una riduzione della pena, Lula conquisterà il diritto alla detenzione domiciliare, che nella pratica gli consentirebbe di vivere in libertà. E benché dica di non volerlo, e che si incatenerà alla sua cella, in tal caso sarebbe obbligato a uscire. Un’assoluzione, del resto, è impossibile: per questa bisognerà aspettare che cambi il rapporto di forze in Brasile. Ma, per la situazione che vive il paese, è intanto cresciuta la consapevolezza dell’assurdità di tenere Lula in prigione. L’imbarazzo dei giudici è infatti palpabile, soprattutto di fronte all’ondata di solidarietà internazionale e all’intervento delle Nazioni unite. L’élite brasiliana è molto sensibile a quello che all’estero si dice del Brasile, tratto tipico di un paese coloniale come il nostro.

Gilberto Carvalho

 

Per quando è attesa la sentenza del Tsj?

Potrebbe arrivare già questo mese. E noi speriamo che sia il prima possibile perché, soprattutto dopo la morte di suo nipote Arthur, siamo molto preoccupati per la sua salute psicologica. Non è bene vivere un tale lutto dentro le pareti di una cella. Tanto più che le sue condizioni carcerarie sono ulteriormente peggiorate: ora gli avvocati possono stare con lui solo un’ora dal lunedì al venerdì; l’assistenza religiosa gli è stata tolta; non può più ricevere visite nel fine settimana, durante il quale rimane assolutamente solo. Stanno cercando di distruggerlo psicologicamente.

Intanto il governo Bolsonaro è in forte calo di popolarità.

Nella storia recente del Brasile non era mai accaduto che un presidente perdesse tanto consenso così rapidamente. La realtà parla più forte delle fake news. Ma non possiamo illuderci, il programma ultraneoliberista verrà comunque portato avanti attraverso la riforma della previdenza, la vendita del pre-sal, la privatizzazione delle imprese statali, la soppressione dei diritti del movimento sindacale. Perché il governo non è costituito solo dal nucleo folcloristico fondamentalista espresso da Bolsonaro, ma anche dai militari – guidati dal vicepresidente Mourão e dal ministro Heleno, una specie di grillo parlante che detta la linea politica dentro il palazzo – e dal settore finanziario rappresentato da Paulo Guedes, che punta a eliminare gli obblighi di bilancio rispetto a sanità ed educazione, un passo oltre il congelamento delle spese sociali per 20 anni già deciso da Temer. Assistiamo a una feroce politica di tagli agli investimenti nelle politiche sociali, quelle politiche con cui i nostri governi erano riusciti a sradicare la fame e a ridurre la mortalità infantile e l’esclusione.

C’è anche chi pensa che Bolsonaro non riuscirà a completare il suo mandato.

Malgrado le sue penose esternazioni e la confusione estrema che emerge dai suoi atti, il governo non cadrà. Se la sua popolarità continuerà a scendere, minacciando gli interessi del mercato, potrà semmai essere allontanato e sostituito da Mourão, e per noi sarebbe molto peggio. Il fallimento di Bolsonaro rischia di consegnare il paese ai militari. In vari Stati si sta persino cominciando a militarizzare la scuola, imponendo una disciplina che somiglia a quella dei collegi militari tradizionali, che poi è tutto ciò che sogna un padre o una madre della periferia. Nel giorno della commemorazione della dittatura decisa dal governo, un vescovo, José Francisco Falcão, si è spinto a denunciare durante una messa la mancanza di disciplina nel paese, affermando che gli sarebbe piaciuto dare veleno per topi a Caetano Veloso per il suo «proibito proibire» degli anni ’70.

Ci sono state tuttavia molte proteste contro la decisione di commemorare la dittatura.

È stato un boomerang. La reazione è stata molto ampia, anche al di là della sinistra. Dimostra che nel paese non ci sono solo spine, ma anche fiori. La sconfitta ci ha fatto maturare. È in corso un processo di convergenza all’interno del fronte progressista, soprattutto tra il Pt e il Psol, e si registra un forte riavvicinamento ai movimenti popolari, al Frente Brasil popular e al Frente povo sem medo. Stiamo riprendendo il lavoro di base, che avevamo abbandonato in passato. E se lo uniamo a un lavoro serio nelle reti sociali, potremo ottenere una crescita importante.

Quali sono stati i vostri errori più gravi?

Ne abbiamo commessi molti. Era così urgente il compito di far uscire il popolo dalla miseria che abbiamo concentrato tutte le nostre energie su questo, perdendo di vista aspetti importanti. Se le alleanze erano necessarie per vincere le elezioni e assicurare la governabilità, ci siamo accomodati alla situazione, dimenticando che tali alleanze andavano relativizzate e completate con una governabilità sociale. Avremmo dovuto organizzare il popolo e mobilitarlo in maniera permanente, come, al di là di tutti i suoi errori, ha fatto il governo venezuelano. Se Maduro non è ancora caduto malgrado tante difficoltà, è grazie all’alto grado di convinzione della sua base. Noi invece non abbiamo preparato adeguatamente la nostra gente, abbiamo smesso di fare formazione politica, non abbiamo dato importanza alla comunicazione popolare.

Abbiamo lasciato che le persone incluse economicamente acquistassero la mentalità della classe media, riproducendo l’ideologia dominante. E così quando Dilma è stata rovesciata, il popolo non è sceso in strada a difendere un progetto che non sentiva suo. A ciò bisogna aggiungere i casi di corruzione, anche se tra gli ex ministri e gli alti dirigenti, tranne poche eccezioni, nessuno si è arricchito. Fa male essere considerati dei ladri. Di certo, se avremo l’occasione di tornare al governo, molte cose dovremo farle diversamente. Pensiamo solo alla nomina dei giudici. Si potrebbe quasi dire che, al posto della coscienza di classe, abbiamo mostrato una sorta di complesso di classe, cercando di risultare graditi ai detentori del potere.