Uno scrittore affermato che vive stancamente a Roma: la vita coniugale e gli incontri annoiati con un amico anch’egli scrittore. Un protagonista che si presume intellettuale il cui cinismo appare totalmente aderire con l’autunno grigio che pare decolorare la città sottoponendola a una visione di caotica tristezza; quasi il tramonto di un uomo di mezza età che si credeva artista e si ritrova piccolo borghese, un povero uomo legato alle abitudini e ad esse imbrigliato. Gli autunnali (La Nave di Teseo, pp. 210, euro 17) di Luca Ricci prova a raccontare il delirio cinico di uno scrittore perso nel proprio ruolo di irrilevanza sia sociale che affettiva.

UN UOMO che tenta attraverso le più classiche vie del sesso di recuperare una perduta vitalità attrezzandola di violenta e meschina virilità, ingabbiato in un amore ormai al suo tramonto, piccole fratture e inevitabili cattiverie; il protagonista tenta attraverso una forma di infantile incantamento di ricostruirsi con un’altra donna, con una vita nascosta, all’ombra di quella ufficiale e lo fa partendo da un’immagine, il viso visto in fotografia dell’amante di Amedeo Modigliani. Tuttavia quella che doveva rivelarsi una fuga altro non è che una sorta di slittamento in cui ritrovare le medesime abitudini, i medesimi impicci e le solite noie.

Altro discorso è invece il sesso a pagamento fatto con violenza ed eccitazione che tuttavia vive sempre della pochezza di uno sguardo abbandonato a se stesso, privo e incapace di ricostruire una visione, lucida o meno. A meno ancora sono utili gli incontri con il gelido amico Gittani, specchio del suo stesso cinismo, un trascinarsi continuo lungo le strade di Roma che appare una città desertificata, ridotta a sfondo di una malinconia nervosa e sempre sfuggente, un male anch’esso incapace di superare la soglia del fastidio perenne per trasformarsi in un vero e proprio dolore. Nulla infatti nella narrazione e nella storia di Luca Ricci sembra in grado di scuotere, di rivelare, di raccontare, ma ogni cosa sembra perpetrarsi in continuazione sempre allo stesso modo: cambiano i fondali, le donne, anche le dinamiche sessuali ma subito ogni cosa si ricompone in un ordine già stabilito seppur mai ammesso.

UNA STANCA LOTTA contro se stesso in cui la violenza non è che il rifrangersi contro gli scogli di onde di un esaurito sentimento. Luca Ricci con Gli autunnali prova la chiave del romanzo intimo, ma declinata in forma di sentimento metallico costruendo nell’insieme un romanzo che assume una forma chiara e a tratti anche limpida oltre che capace di un ritmo serrato e rapido che sorprende rispetto a un racconto fatto in realtà di pochi elementi in movimento. Tuttavia, nonostante l’omaggio a Guy de Maupassant, i protagonisti sembrano aderire troppo a uno sfondo di una Roma involuta e in parte limitante scena bidimensionale di un discorso che qui sembra pronunciarsi sostanzialmente sopra un palco, privo di profondità. Protagonisti dunque essenziali, ridotti a una forma stereotipata che per certi versi è funzionale alla dinamica narrativa, ma che lascia qualche perplessità nell’elaborazione sentimentale troppo spesso affidata a digressioni e commenti di carattere socio – culturale incapaci però di aprire una breccia. Un autunno romano privo d’amore nel delirio di una realtà in perenne scomposizione.