«Quello che è successo a Genova l’ho vissuto come una sconfitta». È con rabbia mista a sconforto che Giulia D’Amato, giovane produttrice e collaboratrice di Gianluca Arcopinto, ora al suo primo lungometraggio da regista, ripensa a quelle giornate. Giornate iniziate con entusiasmo e terminate con paura e sdegno. Ma il titolo del film, Un altro giorno d’amore, rimanda a un’altra forza, quella per cui si va avanti nonostante tutto, quella che si legge tra le righe degli striscioni di solidarietà come nelle lettere che superano le mura del carcere.

LE IMMAGINI di quel G8 del 2001 – ieri si è celebrato il macabro anniversario della morte di Carlo Giuliani, stasera sarà la volta della mattanza della Diaz – sono al centro del lavoro di D’amato, come una ferita ancora aperta. La violenza della polizia, in particolare, appare nella sua semplice brutalità, a volte inserita in un flusso musicale di segno opposto che sembra un commento sarcastico su quei manganelli alzati.
«Ripenso ai ragazzi e alle ragazze partiti col sorriso, pieni di ideali. Invece dopo non siamo stati in grado di elaborare quanto successo, ci si è spaccati intorno alla dicotomia violenza-non violenza e alla fine siamo rimasti soli».
In Un altro giorno d’amore però non c’è solo Genova, ma anche altri momenti importanti – per i movimenti e per il vissuto personale di D’Amato, due dimensioni inestricabilmente intrecciate nel film, se quello che la regista cerca di fare è anche trovare se stessa, la sua immagine, ciò che davvero conta per lei, con onestà. In questo senso il confronto con il padre, ex militante di Lotta continua, è ricco di spunti. Per lui infatti non sembra esserci stata alcuna sconfitta, né negli anni della sua gioventù né poi: tutto ciò che è accaduto lo porta con sé, nella quotidianità e nei rapporti con le persone vicine. L’idea non si sconfigge, un mondo diverso si crea nelle scelte di ogni giorno.

Giulia D'Amato
Ho iniziato a scrivere a Davide Rosci quando era in carcere e ho sentito subito un terreno comune, su di lui la repressione non ha funzionato Tornando invece ai movimenti di questo secolo prendono poi spazio gli scontri di piazza del 15 ottobre del 2011 a Roma, per i quali solo due mesi fa la Cassazione ha reso definitive sei condanne. Si parla di tentato omicidio, resistenza a pubblico ufficiale, devastazioni, lesioni, incendio doloso; la responsabilità per un momento di rabbia collettivo – era la stagione dell’austerity – ricade su pochi sfortunati, di cui alcuni sono migranti appartenenti ai movimenti di lotta per la casa. Tra chi aveva già scontato i propri «debiti» con la giustizia per quanto accaduto quel giorno c’è Davide Rosci. Teramano, militante di gruppi antifascisti e ultras, Rosci è stato condannato a 6 anni di reclusione per devastazione e saccheggio, reato figlio del fascistissimo codice Rocco. È stato scarcerato dopo oltre 5 anni nel 2017. «Ho iniziato a scrivere a Davide quando era in carcere e subito ho sentito che c’era un terreno comune. Per lui c’è sempre qualcosa di importante da fare nel presente, è un ragazzo coraggioso, su di lui la repressione non ha funzionato» racconta D’Amato.
E infatti le scene in cui Rosci si racconta restituiscono un emozionante spaccato di vita e di militanza. Non nasconde la durezza del carcere, soprattutto psicologica, ma dice anche di essere stato «un detenuto fortunato» riferendosi alle più di mille e duecento lettere ricevute da compagni e solidali.

DAVIDE ROSCI è un personaggio centrale nel film anche perché in lui si uniscono i due mondi che sono cari alla regista, quello della politica e quello dello stadio, per lei quasi una cosa sola. Come spiega: «In questo film ci sono dei rimossi che la società non vuole vedere, come quello che succede nelle carceri oppure le attività di solidarietà che i gruppi ultras portano avanti insieme al tifo. C’è da dire che Perugia, insieme a ormai poche altre città, ha una curva politicizzata a sinistra in maniera inequivocabile che è sempre stata presente nei quartieri». Un altro giorno d’amore sarà proiettato, dopo la presentazione al festival di Pesaro, il prossimo lunedì proprio a Perugia, nella rassegna estiva FuoriPost del cinema Postmodernissimo. Ad una distribuzione in sala seguiranno proiezioni in spazi sociali, di lotta, non canonici. Perché, nelle parole di D’Amato, «anche fare questo film è un atto politico».