Dopo una giornata intera di sfottò dalla rete, una valanga, una catastrofe comunicativa a social unificati, l’ex segretario Pd Matteo Renzi prova a mettere una toppa: si sfila dall’invito a cena a Casa Calenda: «Questi levano i vaccini e i nostri parlano delle cene? Roba da matti», dice ai suoi.

L’ennesimo autogol del Pd, del Pd di rito renziano in questo caso, è quella che la rete ribattezza senza pietà «la cena delle beffe» o «la cena dei cretini», «l’ultima cena». Un rendez-vous proposto da Giuliano Da Empoli, presidente di Volta, cenacolo di renziani di belle speranze (ormai tramontate), agli ex ministri Calenda e Minniti e agli ex premier Renzi e Gentiloni per «salvare» il loro partito. L’iniziativa, è stata raccolta al volo da Calenda, pubblicamente via twitter, neanche a dirlo; e però ha immediatamente scatenato la bufera nella bonaccia disperante delle acque del partito democratico.

Gli esclusi dal tavolo del poker non l’hanno presa bene. Il segretario Maurizio Martina per tutta risposta ha confermato che comunque, cena o non cena, le primarie si faranno entro gennaio. Quindi se il retropensiero della compagnia renziana era quello di tentare qualche numero per allontanare quella data, il tentativo non sortirà effetto.

Anche se la strada della convocazione delle assise è lunga: prevede le dimissioni stesse del segretario in carica, la convocazione dell’assemblea nazionale, che però prima, a sua volta, dovrebbe approvare alcune modifiche dello statuto invocate da più parti del gruppo dirigente: ma quali? Il segretario non sarà più candidato premier è quella su cui c’è il maggior consenso, anche grazie alla nuova legge elettorale proporzionale. Ma sulle modalità di iscrizione all’albo degli elettori delle primarie non c’è accordo neanche nell’area della sinistra interna che lo propone. E insomma, la discussione su questo al Nazareno sta ancora a carissimo amico.
Non l’ha presa bene neanche Dario Franceschini, ormai in rotta di collisione con Renzi e in avvicinamento verso il candidato Zingaretti, chi lo ha visto in faccia lo descrive «molto arrabbiato».

L’iniziativa di Calenda del resto ha proprio Zingaretti come obiettivo: allontanare Gentiloni dal presidente del Lazio, provare a far riavvicinare i due ex premier, alla ricerca di una soluzione per il prossimo congresso. Cioè di un candidato. Ma «il conte» Gentiloni, senza rifiutare l’invito a cena, scortesia che non gli si confà, ha fatto sapere che comunque l’iniziativa lo lascia freddo: «Non è con le cene che si risolvono i problemi del Pd».
Alla fine è un mezzo trionfo quello servito sul piatto d’argento al candidato Zingaretti, escluso dall’invito a casa Calenda per il «nemico» – politicamente parlando – dei convocanti.

Il presidente del Lazio ha colto la palla al balzo per un’operazione di immagine utile al tentativo di smarcasi dai notabili Pd (difficile, in molti si stanno orientando su di lui) distinguersi dai banchetti «modello élite» e per organizzare una «controcena» tendenza smaccatamente basista: «La prossima settimana ho organizzato in trattoria una cena con un imprenditore, un operaio, un amministratore, un membro di un’associazione, un giovane professionista, una studentessa ed un professore. Chiederò loro: dove abbiamo sbagliato, e cosa dobbiamo fare per tornare a vincere?», ha spiegato sui social.

Alla fine la cena è spostata. Martedì, oggi, quand’era convocata all’inizio, Renzi non era disponibile (è in viaggio in Cina), la data è spostata più avanti, comunque lontano dai riflettori e dai social, per evitare che si traduca in un altro boomerang. Anzi, gli ultimi boatos renziani la danno per saltata, o prossima a saltare.