I libri sono stati parte fondante del percorso professionale di Gianni Berengo Gardin e in questo 2014, nel varcare la soglia degli 84 anni di età, l’editrice Contrasto dedica al fotografo un volume-antologia. L’iniziativa assume i crismi della celebrazione e avrà dovuto toccare ferro il buon Berengo affinché Il libro dei libri (un titolo dal tono biblico) non risulti essere quello definitivo. Bruno Carbone, curatore dell’opera, ha selezionato qualcosa come 250 volumi realizzati in 53 anni di attività: a partire da quel Biagio Rossetti architetto ferrarese (1960) fino a Storie di un fotografo (2013). Tanti libri che si sfogliano come un interminabile album di fotografie, prezioso strumento per tenere vividi gli accadimenti ripresi da Berengo nel corso del secondo Novecento e che, circa l’indagine sociale, sono già storia. Non solo. Berengo è maestro della fotografia di reportage e, per quanto attiene l’architettura e le incombenti problematiche ambientali, di quella documentale.

A ogni libro, che va a comporre la summa fotografico-letteraria, corrisponde una scheda tecnica accompagnata da immagini appropriate. Così, si ricavano numerose informazioni su un autore. E anche il decano del bianco e nero non si sottrae alla disamina: le immagini pubblicate ripercorrono il processo della sua ricerca fotografica e, scorrendole in sequenza, si rilegge l’evolversi del paese nei decenni, soprattutto attraverso i fenomeni di costume. Oltre al racconto cronachistico, predominante nella fotografia di Berengo Gardin, uno dietro l’altro i suoi libri ci mettono sotto gli occhi il variare del prodotto editoriale: copertine, titoli, impaginazioni, tagli di immagini, grafica dei caratteri, che nel tempo si sono adattati all’utenza intercettandone il mutare di mode e gusti.

Il libro dei libri racchiude un patrimonio culturale che, ancor prima di consultare come documento di storia dell’immagine, aiuta a conoscere meglio l’impegno di un maestro ritenuto l’ultimo apostolo di una fotografia che ormai non esiste quasi più: quella analogica. E già questo è un elemento di distinguo in un’epoca, l’attuale, dominata dalle magie del digitale. Il quale non lesina a nessuno l’opportunità di fotografare – è forse questa la vera magia – e concede a tutti, attraverso l’immissione nella rete, la facoltà di trasformarsi in fotografi. Dunque se tutti fotografano, una volta saltati i paletti fra chi scatta per professione e chi per improvvisazione, nessuno è fotografo.

Berengo, invece, con i vecchi ferri del mestiere (gli apparecchi funzionanti col patetico rullino) è rimasto l’artigiano per antonomasia della fotografia. Ce lo dimostrano i negativi, un milione e mezzo, se non di più, catalogati nel suo archivio. Un reliquiario di celluloide che vale la pena di essere tutelato e tramandato.