A otto anni dalla morte di Luigi Giussani la biografia scritta da Alberto Savorana (Vita di don Giussani, Rizzoli) era attesa negli ambienti di Comunione e liberazione. L’autore, che del «Giuss» è stato discepolo, ha diretto la rivista del movimento «Tracce» ed è attualmente responsabile dell’ufficio stampa di Comunione e Liberazione. Il libro, commissionato da don Julían Carrón, è il prodotto di una strategia dagli obiettivi facilmente identificabili: occupare la discussione sulla memoria di Giussani e sostenere la causa per la beatificazione, avviata ufficialmente nell’aprile 2012 a un anno dall’insediamento del cardinale Scola nella diocesi di Milano. Se di ritratti celebrativi del parroco di Desio ne erano usciti parecchi negli ultimi dieci anni, il libro di Savorana ha ricevuto un’attenzione da parte della stampa che conferma la portata dell’operazione editoriale. A fare la differenza è la mole della documentazione, per lo più proveniente dall’archivio storico del movimento e da quello privato di Giussani, ancora inaccessibile agli studiosi. Lo sforzo di Savorana, concretizzato in circa 1200 pagine, merita dunque di essere preso sul serio, anche se si tratta di un libro dichiaratamente di parte e soprattutto privo di un adeguato inquadramento delle vicende nella storia italiana e in quella della chiesa del secondo Novecento.

Come emerge dalle testimonianze riportate dall’autore, il carisma del leader è il centro attorno al quale si svilupperà il movimento dei giovani di Giussani. I primi passi sono stati mossi al liceo Berchet di Milano, dove il sacerdote era approdato nel 1954 insediandosi all’interno dell’organizzazione di Gioventù studentesca, afferente all’Azione cattolica. Savorana individua come episodio di svolta nella vita di Giussani, da poco uscito dal prestigioso seminario di Venegono, l’incontro nel 1951 con uno studente della «Milano bene» da lui convertito alla fede cristiana. Sarebbe scaturito allora il desiderio di fare della scuola pubblica una terra di missione in un contesto «dominato» dalla cultura marxista e materialista. Ma come spiegare un successo così travolgente laddove gli altri avevano fallito? A giudizio di chi scrive, molto si deve al metodo con il quale è stata giocata la partita: dentro la struttura gerarchica dell’Azione cattolica, ma forzandone i meccanismi e rimodulando il messaggio di fondo. All’organizzazione dei giovani nelle strutture diocesane e nelle parrocchie, Giussani contrapponeva la comunità orizzontale dei raggi senza distinzione di genere e attorno al carisma della guida spirituale. Al moralismo del cattolicesimo dominante e alla distinzione netta tra piano spirituale e temporale, il «fatto cristiano» come unica verità performante, «da vivere» nella quotidianità e non solo in confessionale o nelle strutture ecclesiali.

Siamo alle origini della «proposta radicalmente cristiana» sulla quale si incentrerà l’intera esperienza del movimento, sopravvissuto alla «crisi» del Sessantotto che ne aveva decimato i ranghi. La fondazione di Cl nel 1969, uscita dalle mura scolastiche per approdare negli atenei (Cattolica in primis, dove Giussani aveva iniziato a insegnare dal 1964) e poi nella società tutta (politica compresa), sarà quindi il punto di approdo di un percorso nato dentro la pastorale italiana, ma che risultava «eversivo» rispetto alle strutture e agli schemi della cultura religiosa dell’epoca, quella di Maritain, prima, e quella di Giovanni XXIII e del dialogo con il mondo moderno, in secondo momento. Certo, ha ragione Savorana nel sostenere che Cl si è rispecchiata nelle parole Vaticano II sull’autonomia dei credenti e sul valore di una fede «incarnata» nella storia. Inoltre, si può dire che il gruppo milanese fosse esso stesso un prodotto dello slancio movimentistico e anti-gerarchico conseguente alla modernizzazione di quegli anni, tanto sul piano religioso, quanto su quello sociale.

È difficile però ritrovare nel messaggio di fondo di Giussani, intrinsecamente anti-secolarista (e in questo senso «anti-borghese»), quello spirito di apertura e di contaminazione con la cultura laica che aveva caratterizzato il Concilio. Al contrario, sollecitazione importanti gli verranno dall’incontro con Balthasar, impegnato, insieme a Joseph Ratzinger, nella rivista teologica «Communio», punta di lancia della battaglia contro le teologie post-conciliari, tacciate di voler mondanizzare la fede di riprodurre l’errore di uno schema dualista. Di questa fase della vita del movimento sono una testimonianza importante sia la produzione letteraria del «Giuss» sia, e soprattutto, alcuni passaggi ripercorsi da Savorana: l’azione caritativa, l’allargamento geografico (dall’Italia alla Spagna, alle missioni all’estero) e «ambientale» (dal gruppo adulto al clero, ai monasteri), la fondazione del Movimento popolare nel 1975 e lo scontro con Turoldo che aveva criticato pubblicamente l’integralismo di Cl.

Un momento di svolta sarà l’assemblea di Riccione del 1976, in cui il movimento, ormai radicato nel mondo giovanile, lancerà la sua battaglia di «presenza» contro la «tentazione dell’utopia» dei gruppi della sinistra. Sei anni dopo il riconoscimento ufficiale da parte Giovanni Paolo II segnerà la vittoria della linea di Cl contro i critici interni alla stessa chiesa, in particolare l’Azione cattolica di Monticone, impegnata in una «scelta religiosa» di allontanamento della politica, e l’episcopato italiano post-conciliare. La questione sulla quale gli storici sono chiamati a discutere riguarda allora la consonanza della missione di Giussani con la trasformazione (o per certi aspetti l’involuzione) della chiesa degli ultimi trent’anni, non meno della sua rispondenza al cambiamento della società italiana nel periodo del cosiddetto «riflusso».

Non c’è dubbio, infatti, che la crescita esponenziale di Cl, ritmata dall’affluenza ai meeting nazionali di Rimini, sia stata direttamente proporzionale alla crisi della nuova sinistra, con la quale si era da sempre scontrata, e a quella della contestazione religiosa e dei gruppi post-conciliari. Da questo punto di vista, l’affermazione definitiva del movimento può essere considerata come un prodotto degli anni Ottanta, come la punta di lancia di quella «risposta cattolica» allo sfaldamento del sistema dei partiti, alla cultura politica degli anni Sessanta e alla secolarizzazione (resa ancora più acuta dagli effetti del referendum sull’aborto) che si realizzerà pienamente dopo il congresso ecclesiale di Loreto del 1985. A livello politico, la nuova «presenza» sarà dentro la Dc, ma con l’obiettivo di superare quel modello di mediazione tra Stato e chiesa che risentiva dell’usura del tempo e che non metteva più al centro l’avvenimento religioso, come aveva lasciato intendere lo stesso Giussani al convegno di Assago della Dc lombarda nel 1987. A questo seguirà il violento attacco della rivista ciellina «Il Sabato» alla figura di Lazzati, uno dei punti di riferimento del cattolicesimo democratico. Negli anni Novanta il disegno della chiesa dei movimenti, carismatici e identitari, potrà dirsi completamente realizzato e definitivamente egemonico. Si sono accentuati allora anche i toni della presenza cristiana in politica e della contrapposizione al relativismo culturale perfettamente coincidenti con il Progetto culturale della «nuova» Cei di monsignore Ruini, giocato di sponda con il centro-destra di Berlusconi, a sua volta rafforzato dall’ingresso degli ex-dirigenti del Movimento popolare.

Uscendo invece dalla politique politicienne, è soprattutto sul piano della proposta religiosa-culturale, dalle evidenti ricadute politiche, che si dovrà interrogare la storiografia futura. Come emerge anche dalla documentazione riprodotta da Savorana, la figura di Giussani non può essere ricondotta alla dicotomia intransigenza contro progressismo, data anche l’assoluta sintonia della pastorale di Giussani con gli orientamenti del cattolicesimo contemporaneo (ecumenico, rispettoso della laicità formale e della libertà religiosa), ma va affrontata nella sua complessità, come quella di un artefice della cultura cattolica nell’età della globalizzazione, quando l’identità religiosa è stata declinata come un forza antagonista alla cultura laica e alla società dei consumi.