Un aereo dell’intelligence Usa, un Dash 8, ha ripetutamente violato lo spazio territoriale del Venezuela. Lo ha comunicato il ministro della Difesa, Vladimir Padrino Lopez, fornendo i particolari dell’incursione, definita «inusuale». Il ministro ha precisato di non voler «creare allarmismi», ma ha ricordato che una situazione simile si è verificata nel 2002. Allora, un golpe a guida Cia realizzato dalle destre, dai vertici confindustriali, dalle gerarchie cattoliche e dai media privati, ha rovesciato il presidente Hugo Chavez, poi riportato in sella a furor di popolo.

E anche Nicolas Maduro, a meno di un mese dalle parlamentari del 6 dicembre (la campagna elettorale inizia il 13) e con la destra golpista sempre sul piede di guerra, sa di non poter dormire sonni tranquilli. Il presidente venezuelano ha annunciato che denuncerà la violazione agli organismi regionali e internazionali, e ha chiesto alla destra di esprimersi al riguardo.

L’aereo spia – attrezzato per trasmettere video quasi in tempo reale e per trasportare truppe d’assalto – è partito dalla base militare di Hato, che si trova nell’isola di Curacao: a 35 miglia dalla costa venezuelana. Un documento del dipartimento di Stato nordamericano definisce le isole delle Antille olandesi – Aruba, Bonaire e Curacao – «la Terza frontiera degli Stati uniti». Dal 1999 – quando Chavez ha vinto a sorpresa le elezioni con un gran pieno di voti – le numerose violazioni dello spazio aereo venezuelano da parte degli Usa hanno provocato ripetuti allarmi.

Con il pretesto della «lotta al terrorismo» e al narcotraffico, il Pentagono ha riadeguato e ampliato la presenza militare nel continente. Le parole di Obama, pronunciate nel 2009 al V Vertice delle Americhe («Gli Stati uniti cercano un’alleanza fra uguali con il resto dell’America») sono state smentite il 28 giugno di quello stesso anno, quando un golpe militare – partito dalla base di Palmerola – cacciò il presidente honduregno Manuel Zelaya.

Un mese dopo, l’allora presidente colombiano, Alvaro Uribe, annunciò un nuovo accordo per installare 7 basi militari Usa sul suo territorio. Il caso Snowden ha confermato che, oltre alla presenza di più di 80 basi militari Usa, che operano dall’Honduras al Cile, dal Paraguay al Perù, ne esistono molte altre, che agiscono in segretezza o sotto altra copertura. Nel 2014, il bilancio militare Usa è stato di 640.000 milioni di dollari: pari al 48% del totale mondiale. Una discreta fetta continua a essere destinata alla «promozione dei diritti umani» nei paesi latinoamericani non subalterni, diretta alle ong e ai partiti graditi a Washington.

Dopo la morte di Chavez, gli Usa hanno messo sotto pressione Maduro in ogni modo: fino a dichiarare il Venezuela «una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati uniti» e ad imporre sanzioni finanziarie. Da Miami, dove hanno trovato asilo, banchieri fraudolenti e militari golpisti rivolgono appelli al colpo di stato e destabilizzano l’economia venezuelana attraverso il mercato del dollaro al nero guidato dal sito Dolar Today.

Nelle acque contese dell’Esequibo, la Guyana fa avanzare la petroliera Usa Exxon Mobil, con protezione al seguito. Contando sulla drastica riduzione del prezzo del petrolio (Maduro è per questo di nuovo in Arabia Saudita), Washington cerca al contempo di convincere i paesi caraibici a sganciarsi dall’accordo energetico Petrocaribe. Creato da Chavez nel 2005, l’accordo somministra petrolio a prezzo solidale a 17 nazioni dei Caraibi e del Centroamerica.

«Petrocaribe aiuta la nostra economia, nonostante le pressioni di Washington, le relazioni con Caracas sono eccellenti», ha dichiarato però Ralph Gonsalver, primo ministro di San Vicente e Granadine.

Intanto, il Difensore del popolo, Tarek William Saab, è incorso in un’avventura simile a quella subita in Messico: a Panama, è stato bloccato dai funzionari per la sicurezza e la migrazione.