Il grande, grandissimo Gigi Proietti è uscito di scena, per me che ignoravo che fosse affetto da qualche seria patologia è stato un fulmine a ciel sereno, pensavo che avrebbe calcato i palcoscenici per sempre. Incarnava in sé il senso stesso del teatro, era una macchina celibe teatrale. Popolare e colto, pedagogo straordinario e generoso, nobilitava qualsiasi ambito a cui prestava il suo talento superfluente innervato da una personalità umanissima. Nobilitava persino la pubblicità.

Ha ricevuto il tributo di tantissimi cittadini della sua Roma, e dell’intero paese. Lo ha strameritato per avere donato ore indimenticabili, emozioni magnifiche, ha donato vita, commozione, risate, ha donato se stesso.  Ieri gli sono state dedicate onoranze funebri degne di un capo di stato. Era giusto farlo? Certamente, aveva contribuito a perpetuare e a formare l’identità culturale del nostro Paese, ben più che una vita dedicata alla politica. Ma nella esibizione della grande pompa c’è qualcosa di stonato, persino di osceno.

Il prodigioso Gigi ha espresso la sua arte interpretativa nel cinema, nella pubblicità, nella televisione, ma era soprattutto, più di tutto un uomo di teatro, come attore, regista, didatta. Dunque se si fa oggetto di grandissimi onori un teatrante è lecito supporre che per il nostro paese il teatro sia importante, di più, importantissimo, di primaria importanza. E invece no! Il teatro per la nostra classe dirigente è un paria, divertente, ma irrilevante nella considerazione delle priorità nazionali.

Al tempo della prima ondata del Covid persino il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – per cui personalmente nutro stima, per il coraggio e la serietà con cui si è caricato sulle spalle questa durissima fase, in un paese come l’Italia – nel momento dell’estensione di un minimo sostegno ai lavoratori del Teatro, si è espresso con un irritante tono paternalistico facendo riferimento agli artisti della scena con espressione infelice come «coloro che ci divertono». Il divertimento nella nostra opera, quando si tratta di teatro autentico e non di televisione in teatro – è l’ultimo dei propositi. Il Teatro forma, ammaestra, critica, denuncia, edifica società.

Gigi Proietti in scena

Non so quanti sappiano che Proietti componeva incantevoli sonetti in romanesco. Il più significativo, a mio parere comincia così: «Viva er teatro/dove tutto è finto/ma gnente c’è de farzo...» dopo avere scoperto questo sonetto, non ho più smesso di citarlo quando ho scritto di teatro. È una sintesi folgorante del senso e del valore dell’arte scenica. Essa è il sacrario laico dell’umanità, è l’unico luogo di verità per l’essere umano, visto che la verità dei chierici incatena e la verità dei demagoghi provoca odio violenza, spargimento di sangue.

Il Teatro è protetto dalla pìetas della finzione, è il suo scudo di Perseo che lo protegge dalla Medusa. Per questa ragione il teatro è in grado di affrontare anche le questioni più terrificanti e permettere all’essere umano di misurarsi con esse senza perdere il senno.

Trattare con sufficienza il teatro è segno di superficialità e insipienza. Il teatro non è solo l’arte e l’artigianato dei famosi, occupa migliaia di artisti e professionisti, operai ( si chiamano attrezzisti, macchinisti, elettricisti, scenotecnici, facchini, trasportatori). Impiegati, organizzatori, addetti alle pubbliche relazioni, alle promozione e via dicendo.

Il teatro è sinonimo di abnegazione, passione, sacrificio, fatica, dedizione. Migliaia e migliaia di giovani vivono per esso con un senso della disciplina che ha pochi eguali e che sarebbe di insegnamento a tanti manager e papaveri di varia specie. Il teatro è stato rappresentato anche in tempo di guerra, nei ghetti occupati dai nazisti, nei lager, nei gulag. Tutti dovrebbero sperimentare il teatro anche se amatoriale, per capire. Dovrebbe essere materia d’obbligo sin dai primi gradi della scuola. Perché il teatro è vita.

E per questa ragione i politici non dovrebbero mettere il naso nel teatro. Non hanno nessun titolo per farlo, si limitino a garantirne il finanziamento congruo e lascino l’allocazione e l’assegnazione dei ruoli dirigenti alla gente di teatro, teatranti e pubblico.