«Ma che significa se il tuo segretario non solo non rispetta la tua quota congressuale, ma sceglie fra i tuoi candidati, tu sì tu no, e decide che non vuole in parlamento il tuo uomo delle trattative, anzi decide che hai due capolista in tutta Italia, leader compreso? Che ti vuole umiliare e che non esisti più come area. Di fronte a questo puoi dire ’non è il momento di fare polemica’? Boh». Non sarà nelle liste Daniele Marantelli, il ’leghista rosso’ (così lo definiva scherzosamente Enrico Letta), consigliere comunale comunista a Varese, poi in regione, poi in parlamento, sempre uomo chiave di quello che fu negli anni 90 il rapporto dei Ds con la Lega di Bossi, amico personale di Bobo Maroni, che lo scorso mese gli aveva anticipato l’intenzione di non voler correre in Lombardia. Federalista di sinistra, cultura politica rocciosamente ancorata al partito, e nel Pd nella corrente di Orlando, Dems, una rete nazionale messa in piedi proprio da lui e da alcuni ’fondatori’ come lui, genere rosso antico. Agli antipodi di Giorgio Gori, il candidato presidente del Pd proveniente dalle file di Fininvest e pupillo di Renzi. E tuttavia con Gori aveva condiviso la non ostilità al referendum leghista considerandolo un modo per parlare agli elettori del Nord che sempre guardano con sospetto lo stato centrale.

Aveva deciso di tornare nella sua Varese, ma erano stati i suoi compagni più stretti a chiedergli di dare la disponibilità a restare in parlamento. Invece il ministro si è arreso alla fredda determinazione di Matteo Renzi al tavolo delle trattative. Al suo posto in lista c’è Maurizio Bernardo, già assessore di Formigoni, poi con Alfano in Ap e recentemente approdato al Pd. Con tempismo da professionista.

Non è una grande idea anche in vista di regionali in cui il Pd rischia di perdere la faccia nonostante gli avversari schierino all’ultimo un candidato assai più debole di Maroni. «Io? Ben felice di tornare a casa dai nipoti. La mia famiglia festeggia», dice con serenità ai suoi compagni il tesoriere del gruppo del Pd. «Ma non si dovrebbe accettare che il tuo segretario ti mortifichi, ti tenga all’oscuro delle liste fino al momento in cui debbono essere votate. E poi dire “vabbé adesso facciamo la campagna elettorale”. Orlando non capisce che così Renzi ha sciolto manu militari la sua area? Per avere le mani libere dopo il voto, per tentare l’avventura dell’alleanza con Berlusconi, ammesso che abbia i numeri? Così torniamo indietro di trent’anni. E al di là del metodo questo è il cuore della differenza politica». E aggiunge: «Certo, spero di sbagliarmi».