Pd umbro non vede luce in fondo al tunnel dello scandalo sanitario che l’ha travolto nel pomeriggio di venerdì. Il Pd nazionale, dal canto suo, vorrebbe provare a circoscrivere il problema onde evitare di vanificare i timidissimi segnali di ripresa che si registrano dalla vittoria alle primarie di Nicola Zingaretti.

L’arresto del segretario umbro Giampiero Bocci e dell’assessore alla Sanità Luca Barberini e l’iscrizione nel registro degli indagati della governatrice Catiuscia Marini per un presunto imbroglio in un concorso sanitario dell’anno scorso, sono più che dettagli quando mancano quaranta giorni al voto europeo e, in Umbria, soprattutto alle amministrative in sessantatré comuni. La sede del Pd in via Bonazzi, a Perugia, è stata perquisita dalla guardia di finanza, e le riunioni per decidere il da farsi per le imminenti elezioni sono state rinviate a data da destinarsi.

I MILITANTI SONO per lo più sconfortati («Non vale nemmeno la pena stampare i manifesti…», confessa un dirigente) e circola addirittura l’idea di non presentare proprio il simbolo nei comuni più grandi, appoggiando dalle retrovie una qualche lista civica. Non si pensa tanto a vincere, quanto a limitare i danni. D’altra parte, l’aria era già piuttosto tesa già prima degli arresti di venerdì e adesso il partito appare a un passo dalla crisi di nervi: è il sipario su un sistema che sembrava scolpito nel tempo, l’Umbria regione rossa tra le regioni rosse che appare a un passo dal capitolare, sia alle elezioni sia per quello che riguarda tutto il sottobosco di apparato pubblico nato e cresciuto sotto l’egida prima del Pci, poi di Pds e Ds e infine del Pd. Un tramonto drammatico in cui all’ipotesi di una sconfitta totale si sovrappone la cupa realtà delle manette intorno ai polsi di dirigenti storici.

Il presidente del Pd Umbria Walter Verini – peraltro sconfitto alle primarie lo scorso dicembre proprio da Bocci – è il nuovo commissario che dovrà riuscire a trovare un piano per non affondare nelle urne di fine maggio e poi per tracciare una strada che porti alle regionali che si dovrebbero tenere nel 2020, ma che in molti vorrebbero prima. La richiesta di tornare al voto arriva ben pressante soprattutto dalla destra, mentre la pentastellata ministra della salute Giulia Grillo, che annuncia l’invio di una task force «per capire la sicurezza delle cure nella regione», frena: «Non mi piace fare sciacallaggio sulla pelle dei cittadini; stiamo parlando di sanità e diritti: io posticiperei a livello di priorità il tema delle elezioni». In ogni caso Zingaretti taglia corto: «Tornare al voto? Sì ma in Italia, perché questo governo non riesce a governare».

L’avanspettacolo delle dichiarazioni incrociate, tuttavia, non riesce a nascondere la crisi di un partito che ormai è a un passo dal perdere un’altra roccaforte. Nel 2014 il centrodestra ha espugnato Perugia, nel 2015 Marini è sì riuscita a rivincere le regionali, ma perdendo centomila voti rispetto a 5 anni prima, l’anno scorso alle politiche il centrosinistra è arrivato terzo a Terni, città in cui prima si vinceva con percentuali da Patto di Varsavia. A destra quest’aria l’hanno fiutata da tempo, e, soprattutto dalle parti della Lega, c’è già chi è sicuro di fare cappotto alle prossime elezioni. Va ricordato, tra l’altro, che qui il partito di Salvini parte da percentuali già storicamente alte: il 14% alle regionali del 2015, salito al 20% delle elezioni de 2018.

La governatrice Marini, ieri pomeriggio, ha incontrato i cronisti ma non è riuscita ad andare oltre le frasi di circostanza. «Sono estranea ai fatti – ha detto – e sono a disposizione degli inquirenti. È una situazione sconcertate che, se confermata, risulterebbe molto grave per la nostra regione». Il resto del partito, intanto, si piazza in trincea e prova a resistere, in attesa di capire se e come si potrà venir fuori dallo scandalo. Il Pd di Perugia si dichiara «estraneo a certe logiche», il commissario Verini sostiene che il partito «ha gli anticorpi per reagire», il segretario Zingaretti invoca «una battaglia etica, morale e civile che dimostri che il Pd è il garante di una classe politica che controlla che il potere sia interpretato come spirito di servizio per far star bene gli italiani».

SUL FRONTE GIUDIZIARIO, il vaso scoperchiato dalla procura di Perugia è di quelli in cui dentro ci si trova di tutto. Nelle carte dell’inchiesta – che potrebbe allargarsi – ci sono video, intercettazioni telefoniche, microspie, virus per intercettare messaggi e chat. Il quadro che ne esce viene definito dal gip come un sistema che si muove seguendo «una logica tipicamente clientelare». Gli investigatori parlano molto dei legami tra gli indagati, «amicizie storiche», sodalizi che sono (stati) l’architrave dell’amministrazione del potere in Umbria negli ultimi decenni.
È proprio per questo che nel Pd questi giorni vengono vissuti come l’inizio della fine di un’epoca: le accuse non si possono derubricare a una questione di mele marce, ma vanno affrontate come un attacco diretto all’intero modo di fare del partito sul territorio.