Domenica 21 giugno una straordinaria manifestazione femminista sull’autodeterminazione ha colorato di rosso la città di Perugia. Le reti femministe, le singole, le tante e (i tanti) che si sono raccolte nella bellissima piazza medioevale di IV novembre sono il risultato di una mobilitazione importante che nelle ultime settimane si è costruita sul tema della piena realizzazione della legge 194 e sul diritto di aborto farmacologico. La RU486 è un antiprogestinico di sintesi, utilizzato per indurre l’interruzione di gravidanza farmacologica, non richiede intervento chirurgico e di anestesia e non comporta rischi. Il farmaco diffuso in quasi tutti i paesi europei da tempo, è stato introdotto in Italia solo nel 2009, e poi le linee di indirizzo ministeriali sono venute nel 2010.

Ma la diffusione nel nostro Paese, da sempre sensibile al mondo cattolico e alle gerarchie della chiesa, è andata a rilento, se non apertamente contrastata. Anche se è un farmaco sicuro ed efficace come garantisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il farmaco viene distribuito solo con il ricovero in Day Hospital e non tutti gli ospedali ne sono provvisti; inoltre in Italia, contrariamente a ciò che accade nel resto del mondo in cui può essere assunto entro le 9 settimane di gravidanza, la sua somministrazione è possibile solo entro le prime 7 settimane.

Nel 2018 una delibera regionale dopo 8 anni di lotte ed insistenze, ha reso possibile il suo utilizzo in Day Hospital ed è iniziata la somministrazione anche in provincia di Perugia (prima il farmaco era disponibile sono negli ospedali di Orvieto e Narni). Ed è qui che il pasticciaccio della giunta Tesei prende forma. Raggiungiamo per un breve colloquio la dottoressa ginecologa e attivista Marina Toschi, promotrice e attivista della RU-Rete Umbra per l’Autodeterminazione che ci espone le disavventure della neogiunta regionale leghista, disavventure che in breve tempo sono riuscite a catalizzare l’attenzione mediatica nazionale tanto da essere uno strumento di rilancio per lotte femministe sulle questioni della salute riproduttiva e della sanità pubblica.

La governatrice umbra ha, infatti, di recente “distrattamente” sottoscritto e licenziato una serie di provvedimenti sulla fase2 Covid riguardo alla sanità: nella delibera regionale da lei approvata, nella sezione dedicata al materno-infantile, il consigliere regionale Bori aveva fatto inserire, su indicazione della Società italiana di ginecologia e ostetricia, aspetti molto avanzati che riguardavano la telemedicina di supporto, nonché l’indicazione di disporre della pillola RU486 nei consultori e di allargare il suo utilizzo alle 9 settimane.

La giunta leghista non si è accorta di nulla fino a quando la consigliera comunale del Pd, ha chiesto delucidazioni sulla attuazione della delibera. Nel giro di pochissimo tempo l’ala integralista capeggiata da Pillon aveva fatto le sue telefonate e messo in moto la macchina politico-amministrativa: la successiva delibera regionale cancellava qualunque avanzamento e tornava all’imposizione del ricovero coatto fino a 3 giorni per l’aborto medico. La mobilitazione è scattata immediata coinvolgendo in primis Pro-choice, Rete Italiana Contraccezione e Aborto, una rete di ostetriche, ginecologhe, attiviste; la Laiga 194, Libera Associazione Italiana Ginecologi; Obiezione respinta; Vita di donna, associazioni che hanno raccolto fino a 80.000 firme per sostenere la gratuità della contraccezione (art2/194) e la diffusione della RU486. Nel giro di breve anche il ricco universo di reti e associazione femministe e centri antiviolenza umbri, a partire dalla Casa delle donne di Terni si sono mobilitati ed hanno costituito la RETE UMBRA 2020 per la autodeterminazione.

Dopo l’importante giornata di domenica, il 25 mattina l’intera opposizione dei partiti politici, capeggiata dai radicali, sarà di nuovo in piazza nel capoluogo di regione. Per il 2 luglio, invece, si prospetta un flash mob nazionale a Roma, davanti all’Aifa, l’Agenzia Italiana del Farmaco per chiedere l’estensione del diritto di usufruire della pillola abortiva entro le 9 settimane di gravidanza anche in Italia, l’aborto garantito e sicuro in tutte le regioni, la contraccezione gratuita. Nello scenario post-pandemico nazionale, una mobilitazione importante si è dunque fatta spazio; essa rimette al centro necessariamente il rifinanziamento e il ripensamento della medicina territoriale e consultoriale anche tenendo conto i nuovi bisogni e i desideri emergenti delle soggettività contemporanee.