Non c’è alcun legame tra la 19enne Atalia Ben Abba e il 24enne haredi, religioso ultraortodosso, di cui non si conosce il nome, arrestato dall’esercito perché “disertore”. Due vite distanti, nonostante siano cresciuti entrambi a Gerusalemme. Li unisce il rifiuto del servizio di leva, obbligatorio in Israele per uomini e donne. Lei, spiega, non vuole partecipare all’oppressione del popolo palestinese entrando in un esercito che perpetua l’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Lui non intende far parte delle forze armate dello Stato di Israele che, per motivi religiosi, non riconosce. Le loro vicende stanno facendo parecchio rumore.

Ieri per il terzo giorno consecutivo centinaia di ultra-ortodossi, in gran parte seguaci dell’anziano rabbino lituano Shamuel Auerbach, hanno bloccato strade e mezzi di trasporto a Gerusalemme, Bnei Brak (Tel Aviv), Ashdod, Elad, Beit Shemesh per chiedere la liberazione del giovane religioso. E non hanno esitato a scontrarsi con la polizia che ha effettuato decine di fermi. Il “disertore”, ricercato da tempo, era stato fermato per caso dalla polizia sabato scorso, durante una manifestazione a Gerusalemme contro la profanazione dello shabat. Il fermo è stato subito tramutato in arresto. Immediate le proteste e gli appelli alla ribellione del rabbino Auerbach, uno degli avversari più accaniti della recente estensione del servizio militare alla comunità haredi.

Fino a qualche tempo fa gli ultraortodossi – il 12% della popolazione di Israele – erano esentati dal servizio di leva. Poi su insistenza dei religiosi sionisti, che occupano posizioni importanti nel governo Netanyahu – come i ministri del partito dei coloni “Casa ebraica” -, e del partito laicista Yesh Atid, nel 2014 è stata approvata una legge che impone a una quota crescente, di anno in anno, di giovani haredi lo svolgimento del servizio militare. Lo Stato da parte sua si impegna a garantire sussidi alle istituzioni ultraortodosse che manderanno i loro giovani nelle forze armate. Le comunità haredi hanno reagito in modi diversi. Alcune sembrano più accondiscendenti verso il progetto di integrarle nel sistema militare, molte altre continuano ad opporsi con forza a questo disegno dei nazionalisti. Tra queste c’è quella che fa capo a Shmuel Auerbach. Il rabbino ripete che il compito di ogni ebreo haredi è studiare e pregare e non di entrare nell’esercito e di integrarsi nello Stato. Contro Auerbach e chi tra i religiosi si oppone al servizio di leva, il ministro della difesa Avigdor Lieberman minaccia di usare il pugno di ferro. Per Lieberman è inammissibile che i rabbini cerchino di intralciare il regolare arruolamento di giovani israeliani.

Decisamente più politiche, contro l’oppressione dei palestinesi, sono invece le motivazioni di Atalia Ben Abba, condannata a 20 giorni di carcere per aver rifiutato di indossare la divisa dell’esercito israeliano. Motivazioni che la uniscono ad altre due obiettrici di coscienza, Tamar Alon e Tamar Zeevi, che hanno già scontato rispettivamente 101 e 98 giorni di carcere militare per aver detto di no all’esercito. Nel 2016 erano state scarcerate, dopo ripetuti periodi di detenzione altre due giovanissine obiettrici, Tair Kaminer e Tanya Golan. Anche Atalia Ben Abba rischia di trascorrere mesi dietro le sbarre. L’associazione “Mesarvot” (Jews for Justice for Palestinians), che assiste i giovani refusnik, spiega che si stanno allungando le pene detentive per gli obiettori visti sempre di più come un’insidia dalla destra nazionalista e religiosa che domina la politica israeliana.