Sono davvero poche le speranze di contenere l’aumento delle temperature medie globali entro un grado e mezzo. L’obiettivo è sempre più lontano perché le emissioni di gas climalteranti continuano a crescere, e nell’ultimo decennio sono cresciute dell’1,5% all’anno. A certificarlo, alla vigilia del quarto Global Strike promosso da Fridays for Future, è l’Emissions Gas Report, pubblicato dal Programma per l’ambiente della Nazioni Unite (Unep) a pochi giorni dall’inizio della Cop25 di Madrid, la conferenza sul clima dell’Onu in programma da lunedì: se le emissioni globali non scenderanno del 7,6% in ogni anno compreso tra il 2020 e il 2030, il mondo fallirà l’obiettivo di contenere l’innalzamento delle temperature entro 1,5°, che era l’obiettivo dell’Accordo di Parigi. Questo dice l’Unep, e aggiunge che se restano confermati gli impegni – poco ambiziosi – sottoscritti ad oggi da tutti i Paesi, le temperature potrebbero aumentare fino a 3,2°, causando un impatto ancor più distruttivo e su larga scala. «Sono dieci anni che l’Emissions Gap Report suona un allarme, e per dieci anni il mondo ha continuato ad aumentare le sue emissioni. In nessun altro momento storico è stato così importante ascoltare la scienza: se non prestiamo attenzione a questi allarmi, e non prendiamo decisioni drastiche per ridurre le emissioni, continueremo ad essere testimoni di catastrofi come ondate di calore, tempeste ed inquinamento» ha commentato il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.

Se ci chiediamo di chi siano la responsabilità, senz’altro una risposta offerta dal rapporto della Nazioni Unite è «dei Paesi del G20», quelli che da soli fanno il 78% di tutte le emissioni globali, hanno un peso, in particolare quelli che non stanno lavorando attivamente per realizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Sono Canada, Corea del Sud, Indonesia, Messico, Corea del Sud, Sudafrica e Stati Uniti d’America. «Il nostro fallimento collettivo, l’incapacità di agire per tempo e in modo forte contro il cambiamento climatico, ci obbliga oggi a profonde riduzioni delle emissioni – ha spiegato Inger Andersen, direttore esecutivo di Une -. Questo mostra come i Paesi non possano semplicemente attendere la fine del 2020, quando verranno presi i nuovi impegni sul clima (alla Cop26 di Glasgow ,ndr), per agire. Ogni città, ogni regione, ogni imprese, ogni cittadino devono agire ora».

Il campanello d’allarme suona fortissimo: se non iniziamo da oggi, «dovremo iniziare a considerare l’obiettivo di 1,5° irraggiungibile ben prima del 2030» segnala Andersen. Un primo passo: presentare piani credibili verso emissioni zero al 2050. Ad oggi, non lo ha fatto nessun Paese tra quelli del G20, segnala l’Unep. Alcuni, come il Brasile, stanno invece rivedendo al rialzo le proprie stime e per il prossimo triennio prevedono un aumento delle emissioni. Sono danni non collaterali ma intenzionali del governo Bolsonaro, legati all’aumento drammatico della deforestazione dell’Amazzonia.