Ormai ottantaduenne, autore di più di quaranta tra romanzi e raccolte di racconti, sceneggiatore di fama – premiato con l’Oscar per la trasposizione cinematografica di Brokeback Mountain – magnifico racconto di Annie Proulx – Larry McMurtry è rimasto a lungo fuori dai radar dell’editoria italiana, pur essendo considerato negli Stati Uniti uno scrittore di primissima grandezza. Le traduzioni delle sue opere sono state nella maggior parte dei casi legate a fattori esogeni (soprattutto le loro versioni cinematografiche, spesso di notevole successo: da Hud il selvaggio, con un Paul Newman al meglio di sé nel ruolo del protagonista, a L’ultimo spettacolo di Bogdanovich, fino a Voglia di tenerezza), e fortemente discontinue nel tempo.

Verso il Montana
È probabile che dietro questa fortuna incerta si nasconda un doppio pregiudizio: verso il western prima di tutto, genere che ha sempre goduto di una grande credibilità a livello cinematografico ma al quale non è mai stata riconosciuta piena dignità letteraria; e verso l’atmosfera epica e insieme nostalgica che si respira in molti dei romanzi migliori di McMurtry e che, in pieni anni Ottanta, è stata letta – e criticata – come un endorsement indiretto del reaganismo.

A segnare quella che con ogni probabilità rappresenta una svolta decisiva nello status di questo grande narratore è stata la ripubblicazione, da parte di Einaudi, di Lonesome Dove, già tradotto nel 1986 da Mondadori con l’improbabile e filologicamente scorretto titolo Un volo di colombe; una vera e propria opera-mondo, nata come sceneggiatura per un cast che avrebbe dovuto includere giganti come John Wayne, Henry Fonda e James Stewart e poi trasformatasi in un romanzo fluviale, nel quale il trasferimento di una grande mandria dal Texas fino in Montana consente all’autore la rivisitazione completa e affascinante di tutti i grandi temi dell’epopea western: dalla brutalità di un mondo dominato dagli uomini ai conflitti etnici e sociali sui quali è stata edificata una nazione.

Western revisionista, dunque, in un certo senso: canto del cigno di un mondo già in dissoluzione, ma anche storia epica, tanto più emozionante in quanto residuale, che prende forma attraverso il ritratto di due ex Texas Ranger che guidano la mandria: Gus McRae e Woodrow Call, ultimi paladini di un mondo che è già tramontato ma che permane nel fondo dell’anima sotto forma di natura e paesaggio. Come recita l’epigrafe di Lonesome Dove: «I nostri avi avevano la civiltà dentro; fuori, la natura selvaggia. Noi viviamo nella civiltà che loro hanno creato, ma in cuor nostro quel mondo selvaggio perdura. Viviamo ciò che loro sognarono, e ciò che loro vissero, noi lo sogniamo».

Il successo di Lonesome Dove, salutato dalla critica e dai lettori come un nuovo, credibile candidato al titolo di Grande romanzo americano, segna la definitiva consacrazione, anche italiana, del western come genere letterario: arrivata con trent’anni di ritardo, questa consacrazione si sarebbe dovuta concretizzare già nel 1985, quando alla pubblicazione negli Stati Uniti del capolavoro di McMurtry, premiato con il Pulitzer, si era accompagnata quella di Meridiano di sangue, il brutale e metafisico capolavoro di Cormac McCarthy. Si è invece imposta in modo più graduale e progressivo solo nell’ultimo decennio, attraverso il recupero di una serie di grandi western come Warlock, di Oakley Hall, Il Grinta, di Charles Portis e Piccolo grande uomo, di Thomas Berger, il successo della saga di Philip Meyer, Il figlio, e il rinnovato interesse per le incursioni nel genere di autori popolari come Joe Lansdale (La foresta ma soprattutto Paradise Sky).

Ora, sull’onda del successo di Lonesome Dove, Einaudi propone, nell’ottima traduzione di Margherita Emo e Cristiana Mennella, il suo sequel, Le strade di Laredo (pp. 504, euro 22,00) pubblicato negli Stati Uniti nel 1993. Al centro del romanzo, di nuovo il taciturno e melanconico Woodrow Call, tornato nel suo Texas dopo la spedizione in Montana e incaricato dalle Ferrovie di dare la caccia a un giovane bandito messicano, Joey Garza, che si è reso responsabile di una serie di sanguinose rapine ad altrettanti treni, e si è lasciato dietro almeno trenta cadaveri.

Abbandonato dal vecchio compagno di avventure Pea Eye, che si è fatto una famiglia e non è disposto a lasciarsela alle spalle, affiancato da Ned Brookshire, un goffo ragioniere che viene dall’est e la cui incongruenza è simboleggiata dal fedora che porta sulla testa e che gli vola via al minimo colpo di vento, Call si avventura alla ricerca di Garza, portando con sé una visione matura e consapevole del proprio passato, e del futuro che lo attende: «In effetti, il loro lavoro non era mai stato glorioso, ma sempre sanguinoso, duro e stancante, dalla prima incursione contro i Kiowa fino a quel momento. Non c’erano trombe, né parate e neanche tante certezze, nella vita da ranger.

all aveva ucciso diversi uomini, indiani, bianchi e messicani, dei quali ammirava il coraggio; in alcuni casi aveva perfino ammirato i loro ideali».
Call sa perfettamente che messicani, Comanche e Kiowa sono stati derubati della loro terra, e arriva a pensare che, «fosse stato al posto loro, avrebbe combattuto con lo stesso accanimento». Per questo, pur impegnandosi personalmente ad arrestarli e in taluni casi a ucciderli, non li ha mai giudicati. Giudica invece e condanna, pur comprendendo le sue ragioni, il vecchio amico Pea Eye: e questo perché, «per come la vedeva Call, c’era un obbligo più forte di tutti, e quell’obbligo era la fedeltà… Lo anteponeva all’onore… Un uomo non abbandonava i compagni, il suo gruppo, il suo capo. Altrimenti, secondo Call, era una persona indegna».

Successo e qualità
La fedeltà è il vero motore del romanzo, mentre cambia di personaggio in personaggio ciò cui si intende restare fedeli. È ovviamente la fedeltà tradita a tormentare Pea Eye fino a indurlo a lasciare la moglie Lorena e i suoi cinque figli per raggiungere Call; è la fedeltà al mito e alla leggenda che permette a Ted Plunkert, il vice sceriffo di Laredo che si è unito alla caccia a Joey Garza, di proseguire nell’impresa anche quando si accorge «che stava viaggiando con un uomo vecchio e rigido, uno che faticava a sollevare bene il piede per infilarlo nella staffa»; un uomo con «un’aria grigia, stracca, l’aria di uno che non era né giovane né in salute». Ed è la fedeltà ai propri doveri di madre, più che l’amore verso un figlio crudele, insensibile, carico d’odio, che spinge Maria, la madre di Joey – straordinario personaggio di donna ferita e umiliata quanto indomabile – a cercare il figlio per avvertirlo che Call è sulle sue tracce.

Romanzo di personaggi, di dialoghi, di digressioni nella storia e nel mito – compaiono nelle sue pagine uomini realmente esistiti, dal giudice Roy Bean al fuorilegge John Wesley Hardin, cantato da Bob Dylan in uno dei suoi dischi più celebri – Le strade di Laredo non ha probabilmente lo stesso afflato epico di Lonesome Dove. Manca soprattutto, in molte sue pagine, quel paesaggio immenso e incontaminato che, nel capolavoro del 1985, diventava un autentico co-protagonista, arrivando a tratti a sommergere e assorbire le figure umane in movimento. Non manca, invece, quella forza narrativa, quella capacità di assecondare il gusto popolare senza rinunciare alla qualità letteraria, che ha indotto David Foster Wallace a includere McMurtry tra gli autori «da supermercato» che ogni scrittore ambizioso dovrebbe tenere sul proprio comodino.