Il fantasma dello spread torna a circolare nei cieli della politica italiana ma da metà luglio, quando la Bce di Mario Draghi annuncerà la fine della politica dei massicci acquisti di Btp, gli effetti sullo spread e dunque sul nostro gigantesco debito pubblico potrebbero diventare devastanti per la nostra economia, uscita timidamente dalla più grave crisi economica del secondo dopoguerra. E sarà bene che il governo Salvini-Di Maio si attrezzi alla possibile tempesta finanziaria se non vuole essere travolto a pochi mesi dalla sua nascita.
Ieri i nostri Btp decennali hanno chiuso in rialzo a 246 punti con rendimenti che hanno toccato il 2,93%. Il differenziale di rendimento tra il Btp decennale benchmark era tornato a sfondare la soglia dei 250 punti base, poi gli animi dei grandi investitori si sono placati ma il nervosismo resta. Migliorano ma restano sotto pressione le scadenze più brevi con il rendimento dei titoli a due anni all’1,22% (dall’1,33% dell’avvio) per uno spread con i pari scadenza tedeschi a 182.

Perché tanta tensione tra i big della speculazione internazionale e tra i grandi investitori? Il primo fattore di nervosismo va ricercato nel programma del governo Lega-M5S. Nell’esporre le linee di politica economica, il neo presidente del consiglio Giuseppe Conte si è guardato bene dal parlare di coperture finanziarie ma ormai tutti sanno che per attuare le riforme proposte nel «contratto» servono circa 120 miliardi. Il timore degli investitori è che l’attuale governo voglia finanziare le riforme in deficit aggravando il mostruoso debito pubblico italiano.
Ma il vero terrore che corre sul filo della finanza internazionale si chiama Quantitative Easing, ovvero la politica di acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi. Secondo tutti gli osservatori l’addio allo stimolo monetario che sta per varcare il traguardo dei 2.000 miliardi di euro appare ormai imminente. E se i successori di Draghi non continuassero la sua politica, cosa assai probabile, per il vecchio continente sarebbero guai seri.

Ieri Carlo Cottarelli lo ha detto senza mezzi termini: «In vista della scadenza del mandato di Draghi alla Bce, la questione è chi lo rimpiazzerà. Probabilmente qualcuno del Nord Europa, se non un tedesco qualcuno che la pensa come i tedeschi. Probabilmente i tassi di interesse cresceranno e per noi che abbiamo il debito elevato è un problema».

Ieri Draghi è sceso in campo per difendere la moneta europea: «Il ruolo dell’euro come seconda valuta internazionale si è stabilizzato nel 2017 e nel complesso resta senza concorrenti come seconda valuta più importante nel sistema monetario internazionale», ha scritto nella prefazione al rapporto della Bce sulla divisa unica. Ma per i paesi deboli come l’Italia il problema non è la difesa dell’euro ma il pericolo della mancanza di un paracadute così solido come è stato quello della Bce.

La discussione-chiave sull’addio allo stimolo monetario sarà affrontata, secondo Bloomberg, al consiglio direttivo che si terrà a Riga, in Lettonia, il 14 giugno. L’annuncio potrebbe essere contestuale oppure Draghi si limiterà ad anticipare ai mercati che arriverà alla riunione successiva, il 26 luglio. Date cruciali per l’economia europea ma anche per il governo appena insediato. Si spera che Salvini e Di Maio sappiano che in estate ci potrebbe essere una svolta importante nella politica monetaria della Bce. Riforme finanziate in deficit sarebbero benzina sul fuoco.