Dieci anni di distanza separano Welcome, film del 2009 firmato dal regista francese Philippe Lioret, e Binario vivo, spettacolo teatrale scritto dal giornalista Ernesto Milanesi, in scena con Teatri Off di Padova. Dieci anni di distanza separano due storie che si richiamano, si intrecciano, si saldano in una drammatica somma di analogie, prima fra tutte il luogo da cui iniziano. È Calais quel luogo, porto sulla sponda francese della Manica. Calais «la Giungla», Calais accampamento di dodicimila senza terra smantellato nel 2016; Calais bolgia di morti, arrestati, incarcerati, pestati, mentre tentavano, e ancora tentano, di attraversare lo Stretto fino alle scogliere di Dover.

Clandestini dentro un container, sotto il pianale di un camion, o per altre vie all’apparenza impossibili, come racconta Welcome, come racconta Binario vivo. Poco, anzi nulla importa, se il personaggio di Lioret, Bilal, diciassettenne profugo curdo iracheno, è invenzione che trae spunto dalla realtà, mentre quello di Milanesi, Abdul Rahmal Haroun, quarantenne sudanese, è realtà in carne e ossa. Entrambi hanno percorso migliaia di chilometri, consumato mesi e anni, corpo e anima, per arrivare in Europa; chiusi nei confini della loro nuova prigionia, hanno guardato e sognato ogni giorno l’Inghilterra, provato a immaginarsi là, giocato una scommessa estrema in cambio di uno straccio di futuro. La figura di Bilal è maturata in Lioret dopo alcune settimane trascorse a Calais, che definì «Il Messico francese».

Qui il regista venne a sapere dei tentativi di alcuni migranti di attraversare a nuoto i trentaquattro chilometri di mare segnati dal traffico delle navi mercantili, dalla forza delle correnti, dal gelo delle temperature. Questo vuol fare il giovane profugo di Mosul, e così raggiungere a Londra la fidanzata Mia. Ma prima deve imparare a nuotare. Lo aiuta Simon, istruttore con il quale a poco a poco instaura un’amicizia. Dopo un primo fallimento, e nonostante Mina gli abbia fatto sapere che il padre l’ha data in sposa a un cugino, Bilal ci riprova. Quando ormai la costa inglese è a poche decine di metri, la guardia costiera lo avvista. Bilal si immerge più volte, l’ultima non ritorna su.

Il lavoro di Ernesto Milanesi nasce invece da una notizia di cronaca «Nell’estate del 2015, leggendo i giornali, mi capitò sotto gli occhi un trafiletto: il 4 agosto, eludendo i controlli, un migrante del Darfur, provincia del Sudan, era riuscito a percorrere a piedi i cinquanta chilometri e 450 metri dell’Eurotunnel da Calais. Aveva camminato per una giornata lungo il marciapiede della galleria largo una novantina di centimetri, nonostante i treni che passavano a centosessanta chilometri orari.

La polizia britannica lo aveva arrestato all’uscita. Abituato come tutti a leggere di migranti che arrivano sui camion e sui barconi, mi sembrò davvero un’impresa. Ci rimuginai sopra a lungo, finché un giorno ne parlai con Loris Contarini, dei Teatri Off di Padova. Lui ascoltò e poi mi disse “Scrivi”. Non un articolo, ma uno spettacolo.
Alla prima stesura, troppo giornalistica, ne seguirono altre due e la decisione di produrre Binario vivo, che ha avuto la sua anteprima a marzo del 2018 nella chiesa sconsacrata di San Clemente, a Padova». Milanesi, per ciò che ha fatto Abdul Rahmal Haroun lei ha usato il termine ‘impresa’, che rimanda a una gara, a un record di carattere sportivo. Ma forse sembrerebbe più giusto definirlo un atto estremo dettato dalla disperazione.

«Prima di cominciare a scrivere mi sono rinchiuso per un’ora in una stanza di casa mia, nel buio totale. Nonostante fosse un ambiente che conoscevo, mi sono sentito profondamente a disagio. È allora che ho pensato ‘Abdul, nel buio, ci è stato ore e ore, con i vagoni in corsa a una spanna da lui, sapendo che avrebbe trovato un’uscita, ma dove?’. Se questa non è un’impresa… Aggiungo: Abdul ha fatto meglio di Filippide, che corse in un giorno 42 chilometri e 195 metri da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria sui persiani». Un telone chiaro al centro del palcoscenico. Sulla destra un leggìo davanti al quale sta in piedi Loris Contarini; a sinistra le macchine del suono comandate da Roberto Raccagni. «A pensarci bene, la vita è come un treno. Sfreccia in un viaggio lungo scambi, traversine, segnali. La vita, in fin dei conti, scorre quasi dentro il nostro tunnel. E la vita è la vera, unica, preziosa energia non rinnovabile». I versi di esordio del Prologo hanno la lirica di un poema epico, che si tinge di dolore, sofferenza, rabbia impotente quando diventa narrazione del calvario dal Darfur a Calais: «Parlo solo zaghawa, dovete portare pazienza. Non è una storia facile da raccontare e faccio sempre molto fatica a parlarne… Voi che possedete una lingua le definite peripezie, vicissitudini, traversie, disavventure…».

Gianni Bozza, Abdul, compare, cappuccio della felpa a nascondere il volto, un istante prima che la voce di Contarini conduca in mezzo alla Giungla: l’accampamento, i TIR dove provare a nascondersi e a fuggire, i controlli di polizia con i rilevatori di calore, i mercanti di uomini… Abdul nella Giungla è un’ombra tragica che non riesce a posarsi. Abdul è l’erede del destino di Enea, il Bianco «Troia è perduta, in fiamme, conquistata. Siamo in fuga dalla fine della guerra. Abbiamo tutti la compagnia di chi ci è caro. Abbiamo perso tutto… Sono Enea, il primo profugo». Abdul è il Nero, l’estraneo, l’oggetto da deridere, la preda da braccare. Nero è il viaggio di Abdul, voragine pronta a inghiottire. Oppure tunnel che potrebbe condurre alla salvezza. La mattina del 4 agosto 2015, martedì, Abdul ci entra. «Parlo solo zaghawa. Ma ho scoperto la via giusta verso Dover, Inghilterra. È il binario vivo… Ecco, ci sono. Proprio di fronte all’Eurotunnel. E sono pronto. Ancora due passi e sarò dentro».

Abdul, dietro il telone, è un fantasma gigante che cammina, le braccia aperte. La voce si affanna, aumenta il ritmo, sale di volume, urla per non sparire nel fragore assordante del treno. La voce mette in fila e alle spalle i giorni di Calais, descrive minuziosa le strategie della fuga, parla per darsi coraggio, deride le telecamere che hanno lanciato l’allarme «Ecco, ci siamo, allarme rosso. Un negro minaccia la sicurezza, un africano mette in pericolo tutti. Un negro, africano, pazzo in mezzo all’Eurotunnel». Allarme inutile, impossibile prendere Abdul, nero dentro il nero. «Continuo a camminare, in bilico su tre piedi di spazio. È l’ultimo miglio… Giorni, mesi, anni di un viaggio che sembrava non finire mai. Invece sono arrivato, ho appena attraversato l’Eurotunnel. Da solo. A piedi. Su un binario vivo!».

Abdul Rahmal Haroun è stato arrestato e il 24 agosto condannato per intralcio al traffico ferroviario, in base a una legge dell’epoca vittoriana. A dicembre dello stesso anno, il Ministero degli Interni gli ha riconosciuto lo status di rifugiato e concesso asilo politico. Vive in Inghilterra, lontano da telecamere e talk show. Abdul Rahmal Haroun continua a parlare zaghawa.

Binario vivo è anche un libro, edito da Teatri Off, 10 euro, con introduzione del filosofo Umberto e un’appendice con i disegni di Carlo Vitelloni. Per informazioni su libro e spettacolo teatrioffpadova.com, info@teatrioffpadova.com.