Luigi Di Maio rivelerà «molto presto» alcune novità sulla struttura organizzativa del M5S, secondo le notizie che vengono fatte trapelare dai suoi comunicatori. Si tratterebbe dei responsabili tematici che compongono la segreteria grillina. L’annuncio rappresenta il tentativo del capo politico di ricongiungersi al processo di ristrutturazione dei 5S che era cominciato quando ancora il governo gialloverde sembrava reggersi in piedi.

Che le cose siano cambiate lo dimostra il faticoso e litigioso processo di composizione della lista dei sottosegretari. Conte fa sapere che avrebbe intenzione di chiudere la partita oggi ma fino a ieri pomeriggio era proprio dal lato grillino che trapelavano le ultime incertezze, coi parlamentari convinti aver chiuso la lista dei candidati sottosegretari e le pressioni per riaprire alcune buste ed infilare alcuni nomi in extremis. I presidenti di commissione ancora ieri hanno rivendicato il protagonismo dei gruppi e l’importanza che chi verrà scelto sappia distinguersi per «competenza e capacità di ascolto». La mappa dei prescelti ancora incompleta lascia filtrare la grande confusione e il rimescolamento degli equilibri interni. Non è ancora il M5S che verrà, ma non è di certo più quello di prima.

Della vecchia guardia, verrebbero confermati alcuni dei fedelissimi di Di Maio. Carlo Sibilia, che pure si è distinto nei mesi scorsi per aver usato sull’immigrazione toni simili a quelli di Salvini, resterebbe all’interno. Manlio Di Stefano affiancherebbe il neoministro degli esteri. Anche per lui si tratta di una conferma che in questo caso ha il sapore di una promozione: Di Stefano potrebbe coprire e aiutare Di Maio in occasione dei suoi impegni politici da leader grillino. Stefano Buffagni potrebbe passare da sottosegretario alla presidenza con delega agli affari regionali al ministero delle infrastrutture, ma per quel posto si fa anche il nome (che avrebbero spinto i parlamentari) di Mauro Coltorti, professore di geologia che in campagna elettorale era stato designato come ministro.

Laura Castelli è data per sicura all’economia (ci sono malumori su questa scelta) mentre fino a ieri sera era senza collocazione Vito Crimi, che non dovrebbe avere la delega all’editoria (era data per assegnata al Pd, ma in serata si è affacciato Emilio Carelli, M5S). Il chirurgo palermitano Giorgio Trizzino, grillino anomalo e ambasciatore nei giorni della crisi tra i vertici e il Quirinale, dovrebbe andare al ministero della salute. Uno degli oppositori della linea filo-leghista, Giuseppe Brescia, viene dato ai rapporti col parlamento, ma la nomina entrerebbe in contraddizione con la regola di non spostare i presidenti di commissione, anche per evitare di rimettere in discussione quelle nomine.

Giancarlo Cancelleri, deputato all’Assemblea regionale siciliana e schieratissimo per l’accordo col Pd, potrebbe essere catapultato a Roma, forse agli affari regionali. Ci sarebbe un posto anche per Luca Carabetta, deputato debuttante che viene dai No Tav piemontesi e che si è specializzato in innovazione digitale. Elisabetta Trenta, in uscita dalla difesa con qualche remora, potrebbe avere una delega dal Viminale. Di lavoro o sviluppo economico potrebbe occuparsi la deputata umbra Tiziana Ciprini, spinta dai colleghi di commissione. Francesco D’Uva mira alla cultura: lascerebbe scoperta la casella di capogruppo alla camera.

Al M5S spettano 22 posti. Conte mantiene il diritto all’ultima parola ma pare tra i pochi ad avere uno sguardo sugli equilibri generali e sulle diverse liste di candidati che gli sono stati proposti sia dai parlamentari sia Di Maio. È ancora lui dunque a rappresentare il vero collo di bottiglia, da qui nascerebbero i malumori e le incomprensioni di chi chiede una svolta in nome della collegialità. Ne nascono tensioni e faide interne, soprattutto rispetto ai membri del vecchio esecutivo che rivendicano una sorta di prelazione. Difficile dire se tutto riuscirà davvero a risolversi nelle prossime ore.