Altro che «pausa di riflessione». Scaduti (giovedì scorso) i tre mesi di intervallo previsti dall’articolo 138 della Costituzione che regola le procedure di revisione della Carta, la riforma firmata Renzi-Boschi arriva immodificabile al senato. La maggioranza ha imposto ritmi serrati in commissione – ieri tre sedute, l’ultima notturna, stamattina una quarta – in modo da esaurire gli oltre sessanta interventi programmati e portare il disegno di legge oggi pomeriggio in discussione generale in aula e domani già al voto finale.
Sarà un prendere o lasciare, nessuno spazio per modifiche: anche questo è previsto dall’articolo 138, ma nel senso che il dubbio sopravvenuto durante la «riflessione» dovrebbe spingere i parlamentari a bocciare la modifica costituzionale. Tantopiù in questo caso, trattandosi della riscrittura di oltre un terzo della Carta. Invece no, anche i senatori della minoranza Pd (una ventina) che mantengono le critiche sull’incrocio tra la riforma e la nuova legge elettorale e che per questo dichiarano di tenersi aperta la scelta sul referendum confermativo, voteranno sì. La legge raccoglierà la maggioranza assoluta dei senatori (fissata a quota 161) ma non la maggioranza qualificata dei due terzi: da qui il referendum che si terrà in ottobre. Per non rischiare nulla, Renzi ha spostato di 24 ore l’assegnazione delle poltrone di sottogoverno e la guida di due commissioni al senato: Ncd ha ambizioni su entrambi i fronti. «Evidentemente c’è un problema di numeri – ha detto la senatrice De Petris capogruppo di Sel – nessuno avrebbe avuto pensieri maligni se si fosse proceduto, come previsto, prima con il rinnovo dei presidenti di commissione e dopo con le riforme». L’ultimo atto di questa seconda lettura al senato è previsto per domani dalle 17, il Movimento 5 Stelle leggerà in aula i messaggi dei cittadini.
Intanto un particolare interessante sulla genesi della nuova legge elettorale è stato raccontato alla presentazione del libro del deputato verdiniano Massimo Parisi sui retroscena del «patto del Nazareno». Le basi dell’Italicum sarebbero state gettate in un incontro tra Verdini e il professore Roberto D’Alimonte il 12 gennaio 2014 a Firenze, in casa del politologo. Renzi, da un mese segretario del Pd, aveva allora sul piatto tre modelli diversi di legge elettorale e il Pd non aveva scelto il suo. Al governo c’era Enrico Letta. Già il giorno successivo a quell’incontro, 13 gennaio, Renzi fu ricevuto al Quirinale da Napolitano «per parlare di legge elettorale». Un mese dopo Letta fu invitato ad accomodarsi. a. fab.
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Pubblicato 8 anni faEdizione del 19 gennaio 2016
A. Fab., ROMA
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