Un mese di tempo e non un giorno di più per rispondere a Bruxelles sulla riforma della giustizia in Polonia. E l’ultimatum dell’Unione europea che si dichiara pronta a ricorrere all’opzione atomica, quel famigerato articolo 7 del Trattato di Lisbona che potrebbe portare alla sospensione dei diritti di voto della Polonia presso il Consiglio Ue.

Lo ho dichiarato ieri il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans precisando che tali misure «aumenterebbero le minacce allo Stato di diritto in Polonia».

Il doppio «nie» del presidente polacco Andrzej Duda alla riforma della Corte suprema e a quella del Consiglio nazionale della magistratura ha spiazzato i suoi colleghi della destra populista di Diritto e giustizia (PiS).

Ma tutto questo non è bastato all’Ue, essendo venuto a mancare il terzo veto ad un altro provvedimento che concederà ampi poteri al Ministero della giustizia in materia di nomine in tutti i tribunali ordinari del paese.

«Difficile accettare una qualsiasi forma di dialogo nel modo in cui ce lo propone Timmermans. A volte ho l’impressione che siamo sotto ricatto», ha dichiarato il ministro degli esteri polacco Witold Waszczykowski all’agenzia di stampa locale Pap.

Per invocare l’articolo 7 contro la Polonia, Bruxelles dovrebbe sperare che Budapest rinunci a porre il suo veto. Un proverbio polacco recita: «Il polacco e l’ungherese sono due fratelli: uniscono la sciabola e il calice».

Eppure l’alleanza politica tra Viktor Orbán e il numero uno del PiS Jaroslaw Kaczynski potrebbe non bastare. Pochi mesi fa Budapest aveva infatti votato a favore della riconferma di Donald Tusk, arcinemico di Kaczynski, alla presidenza del Consiglio europeo.

La riforma della giustizia non è l’unico conto aperto tra Varsavia e l’Ue che ha lanciato anche una procedura di infrazione contro il PiS per i mancati ricollocamenti dei profughi da Italia e Grecia.