Il potere dei militari si misura anche sulla partecipazione dei sindacati. E così anche i lavoratori egiziani sono stati chiamati a raccolta ieri dalle forze armate. La Federazione dei sindacati egiziani (Etuf) ha annunciato la partecipazione dei suoi cinque milioni di iscritti alle manifestazioni di oggi, voluta dal capo dell’esercito e ministro della Difesa Abdel Fattah Sisi per avere mano libera contro i «terroristi». Dal comitato centrale dell’Etuf si fa sapere che i comitati sindacali e le unioni sindacali locali prenderanno parte alla manifestazione. Il presidente della Federazione sindacale Gebali al-Maraghy ha annunciato che l’appuntamento per i lavoratori è a piazza Ramsis, da dove si dirigeranno verso Tahrir. Questo sindacato è ancora controllato dagli uomini del regime di Mubarak e da alcuni islamisti. Non scenderà in piazza invece la Federazione dei sindacati indipendenti (Efitu), con ampi rappresentanti nasseristi e della sinistra rivoluzionaria al suo interno, che pure aveva ottenuto la nomina di Kamal Abu Eita a ministro del Lavoro nel nuovo governo di Hesham Beblawi.

Tra i lavoratori egiziani sono state raccolte centinaia di migliaia di firme per chiedere le dimissioni di Morsi e elezioni presidenziali anticipate. L’Efitu ha poi incoraggiato ampiamente i suoi iscritti a partecipare alla manifestazione del 30 giugno scorso. Numerosi incontri si sono svolti nei quartieri generali delle rappresentanze sindacali locali per favorire la partecipazione dei lavoratori. E poi, prima del 30 giugno, ci sono stati scioperi e manifestazioni operaie a Mahalla al-Kubra, nel Delta del Nilo, dove hanno sede le industrie tessili Ghazl Mahalla. Nei canti di protesta, gli operai chiedevano le dimissioni di Morsi. Per questo, il leader locale del partito «Libertà e giustizia», Mohamed al-Ganayni ha chiesto dimissioni per il direttore del cda della più grande industria tessile d’Egitto per non essere intervenuto per fermare gli scioperi.

È stata rincarata la dose del laconico invito a manifestare lanciato ieri dalla Forze armate: i Fratelli musulmani hanno «48 ore per allinearsi» alla road map dettata dai militari. Qualche ora prima il messaggio era stato temperato dopo la denuncia della Fratellanza, secondo la quale la levata di scudi avrebbe determinato l’avvio di una «guerra civile». Per questo, Sisi aveva assicurato che la chiamata in piazza non fosse diretta contro gli islamisti. Nella pagina Facebook dell’esercito si legge, con non poca retorica, che la manifestazione di oggi ha lo scopo di «sostenere gli sforzi della presidenza per la riconciliazione nazionale» (di fatto già bocciata dagli islamisti). Anche l’ex premier Hisham Qandil ha avviato un tentativo di riconciliazione proponendo un compromesso: l’iniziativa prevede come pre-condizione la liberazione di tutte le persone arrestate dopo il 3 luglio, compreso Morsi.

Da parte loro gli islamisti presidieranno oggi Rabaa al Adaweya, piazza Nahda a Giza e il ministero della Difesa come nelle ultime settimane. Anche la guida suprema dei Fratelli musulmani, Mohamed Badie (contro il quale è stato spiccato un secondo mandato di cattura) ha lanciato un appello ai sostenitori di Morsi a manifestare in modo pacifico.

Dopo la retromarcia degli Stati uniti nella consegna degli F-16 per il deteriorarsi della crisi politica, sono arrivati gli avvertimenti anche del Fondo monetario internazionale. L’Fmi fa sapere che non si terrà nessun colloquio con l’Egitto fino a che il governo provvisorio non sarà riconosciuto dalla comunità internazionale. Restano dunque congelati gli aiuti per 3,8 miliardi di euro destinati al Cairo. Qualche segnale di disgelo è arrivato invece dalla Turchia il cui premier Recep Tayyp Erdogan aveva duramente criticato il colpo di stato militare. Il presidente turco Mohamed Gul ha inviato infatti un messaggio di auguri al suo omologo egiziano, Adli Mansour.