Stretto tra i continui rilanci e pretesti di Renzi per arrivare alla crisi e la proverbiale capacità di rinvio di Conte, il Pd prova ancora a rimettere insieme i cocci, un ultimi disperato «appello alla responsabilità» per evitare il baratro.

«In questi mesi rispetto all’angoscia e alle paure degli italiani siamo stati un punto di riferimento», ha detto Zingaretti alla direzione dem. «Se ci siamo riusciti è perché il nostro assillo si è sempre stato porre in cima a tutto l’interesse del Paese. Non sottovalutiamo la disperazione e la rabbia delle persone se, a fronte di paure e incertezze, la politica assumesse il volto dei giochi di palazzo». «C’è un humus sociale ad alta infiammabilità, ci sono pensieri incendiari pronti a scatenarsi».

Di qui l’ormai consueta doppia negazione del leader Pd: «No alla pigrizia del governo, ma no all’avventurismo distruttivo». E ancora la richiesta di «un rilancio, una ripartenza della coalizione», perché anche nella discussione sul Recovery «non ci sono ostacoli insormontabili». E un altro appello a Conte: «Serve un patto di legislatura». Ma anche, e questo viene sussurrato lontano dai microfoni, un verto vertice di maggioranza, con tutti i leader, compreso Renzi.

Zingaretti cita a più riprese il ritorno alle urne. «Sarebbe un errore imperdonabile in mezzo alla pandemia, ma il logoramento dei rapporti politici già in passato ha portato a un’evoluzione incontrollabile, il cui esito sono state proprio le elezioni anticipate». «Noi non abbiamo mai temuto il voto», ripete il segretario dem. E certamente Zingaretti lo preferisce all’ipotesi di governissimo con dentro Lega e Forza Italia a cui sta lavorando Renzi. «Un altro governo, confuso, trasformista, trasversale, tecnico? Nulla di buono porterebbe all’Italia», la netta bocciatura.

Per il leader di Iv un altro messaggio: «Non servono richieste ultimative, prepotenze o imposizioni, pretese unilaterali. Ognuno deve saper rinunciare a qualcosa».

La direzione viene sospesa dopo la relazione del segretario. Al vertice serale dei capidelegazione con Conte vanno anche Andrea Orlando e Cecilia d’Elia per i dem, oltre ai ministri Gualtieri e Provenzano. Alla fine la linea è comune con il M5S e Leu: «Il Recovery deve andare al più presto in consiglio dei ministri, Italia Viva sta ostacolando e prendendo in ostaggio il piano». Fonti dem al vertice dicono «basta con i paletti dei renziani». «Un partito non può commissariare il consiglio dei ministri, adesso bisogna procedere in fretta».

L’accusa ai renziani è di attaccare il governo in tv dicendo che perde tempo, «mentre al vertice si chiede di allungare il brodo». La pazienza tra i dem per questo «teatrino insopportabile» è agli sgoccioli: «Fino all’ultimo bisogna lavorare alla luce del sole per fermare la corsa verso il vuoto, ma è uno sforzo che deve fare tutta la maggioranza. E se non c’è volontà di mediazioni non c’è più maggioranza», attacca Debora Serracchiani. «Renzi si comporta come uno che a prescindere vuole far saltare il banco», rincara il vice capogruppo Michele Bordo.

In serata nei palazzi gira la voce che i dem sarebbero pronti a sacrificare Conte pur di tenere insieme la maggioranza, ma è solo «una polpetta avvelenata», dicono dal Nazareno. La verità è che ormai per i vertici del Pd il gioco di Renzi è scoperto: «Fa le cose che fece con Letta. Non è una novità», dice Bersani. «Vuole una crisi per essere il demiurgo di nuovi percorsi che vedono alla fine la testa di Conte. Questo è il punto».

Ed è questa la linea che Zingaretti non può e non vuole oltrepassare quando dice no a «un governo trasformista e trasversale». Ma il no è anche alla ricerca di responsabili in Senato, una strada che Conte non ha mai abbandonato ma che per il Pd resta impercorribile. Per questo Zingaretti ieri ha parlato tanto delle elezioni: «Alla fine tornare al popolo è sempre un’ultima istanza democratica…».