Apprendo con dolore la scomparsa di Ugo Fabietti. Lo conoscevo da decenni e col tempo avevo imparato ad apprezzarne le grandi doti scientifiche e umane.
Occorrerà, col tempo, procedere a una valutazione complessiva della sua produzione scientifica e a una adeguata collocazione critica di essa. Ma già sono possibili delle rapide considerazioni.

Alcuni concetti da lui elaborati o recuperati criticamente hanno animato il dibattito antropologico contemporaneo. Si pensi, ad esempio, al concetto di frontiera etnica, che si interseca con la problematica così attuale del multiculturalismo, con tutti i suoi esiti variegati.
La sua produzione è molto vasta. Mi limiterò a ricordare il volume Etnografia della frontiera. Antropologia e storia in Baluchistan, pubblicato nel 1997 nella collana «Gli Argonauti» da me diretta per Meltemi e quelli più recenti, come Materia sacra: corpi, oggetti, immagini, feticci nella pratica religiosa (Raffaello Cortina, 2014) e Dal tribale al globale. Introduzione all’antropologia (Bruno Mondadori, 2012).
Sono volumi che occorre leggere e rileggere, densi come sono di intuizioni e notazioni critiche di notevole interesse e grande capacità euristica.
Il suo manuale di storia degli studi, che è stato adottato in molti insegnamenti di discipline demoetnoantropologiche, compreso il mio di Etnologia tenuto per circa un ventennio ne La Sapienza di Roma, ha contribuito alla formazione di più generazioni di studenti che, grazie a esso, si sono accostati a queste scienze, acquisendo così gli indispensabili strumenti teorico-metodologici del mestiere.
Per il prestigio indiscusso, Fabietti divenne via via punto di riferimento di numerosi studiosi, che si sono avvicinati a lui e alla cattedra da lui tenuta nell’Università Bicocca di Milano, al punto che si è potuto parlare di una vera e propria «scuola di Milano», molto influente sul piano accademico.
Ho avuto, com’è naturale, con Ugo Fabietti convergenze e divergenze, vissute con molto rispetto e stima reciproche. Ricordo gli ultimi affettuosi colloqui nel convegno di Palermo nell’inverno scorso e allo scambio di considerazioni, permeate di indulgente ironia, su alcune modalità della società contemporanea e delle attuali mode antropologiche. Ma ricordo soprattutto la mitezza del suo sorriso, che rivelava uno stile di vita improntato alla discrezione, al rispetto degli altri, alla dolcezza.
Mi inchino perciò dinanzi alla sua memoria e sono vicino ai suoi familiari, nel ricordo e nel rimpianto.