“Chi è in grado di difendere concretamente il nostro cinema, visto che gli organi di governo sono occupati piuttosto a smantellarlo, visto che gli artisti non hanno la libertà di produrre? Una sola forza, che è immensa: il pubblico. Questo pubblico popolare che ha già dato al cinema italiano i personaggi, perfino gli attori, dovrà diventare il protagonista non soltanto sullo schermo, ma anche in platea, e imporre che in Italia si continuino a fare i film che giovano alla sua cultura e al suo avvenire”. Certo, c’è dell’enfasi nell’ intervento del gennaio ’54, ma c’è anche il senso profondo dell’utopia che anima il volumone curato dal compianto Lorenzo Pellizzari (pp. 886, euro 35,00), in cui sono riproposti tutti gli articoli scritti da Ugo Casiraghi per “Il Calendario del Popolo” dal 1947 al 1967. Nonostante la bravura del critico, senza la bussola dell’utopia la raccolta finirebbe nel polveroso scaffale dei testi da consultare quando servono. Nelle voci di questa affollata enciclopedia c’è invece un’urgenza, un fervore, un senso della scoperta, che rimandano alla vivacissima stagione dal dopoguerra agli anni Sessanta, un campo di forze in ebollizione.

Nelle pagine del mensile l’immediatezza obbligata del quotidiano – dal ’47 è anche critico cinematografico di “l’Unità” e lo sarà fino al ’77 – si decanta nei toni più mediati e riflessivi, senza perdere la sua appassionata partecipazione. La chiarezza espositiva, programmatica in un periodico come “Il Calendario”, non va a scapito dell’analisi articolata, tipica del critico milanese, uno tra i pochi in grado di raccordare la recensione del film del giorno col recupero di capitoli inconsueti dell’avventurosa storia del cinema, con cui sin da giovanissimo aveva una misteriosa familiarità. Se la battaglia per il cinema italiano e l’attenzione ai suoi momenti più innovativi vengono prima di tutto, quanti riescono come lui a non perdere mai di vista il panorama internazionale, dal nuovo cinema francese all’indipendente americano, dall’inglese al tedesco, ma anche dal cecoslovacco all’ungherese, dal giapponese al rumeno, dal cubano al cinese? Assiduo frequentatore di Cannes, Venezia, Locarno, Pesaro, si trova spesso da solo a Karlovy Vary, l’osservatorio privilegiato per seguire le novità dell’est europeo e della stessa Unione Sovietica.

L’interesse pedagogico del mensile si salda alla disponibile curiosità di Casiraghi che è stato a lungo un protagonista delle mattinate milanesi del Sindacato, incarnando con orgoglio la figura del critico militante. Non aveva nessuna paura di cambiare parere, di capovolgere in apprezzamenti le cantonate inevitabili nell’attività di un quotidianista. Se ne trova più di una conferma nelle centinaia di pezzi apparsi dall’84 all’95 sul quindicinale friulano “Panorama”, ripresi in parte in Alfabetiere del cinema, edito da Falsopiano nel 2006, poco dopo la sua scomparsa. Dove celebra Evgenij Bauer, il regista del cinema degli zar, e Lilian Gish, l’attrice-feticcio di Griffith, regalandoci la strepitosa galleria di icone da Lubitsch a Marlene, da Tarkovskij a de Oliveira, in cui rivela tutta la sua acuta lucidità. Un grande critico? Certamente uno dei maggiori di un’epoca ormai alle nostre spalle, mentre il cinema muore e rinasce ogni giorno, si ripete e si reinventa, cambia continuamente collocazioni e forme. Hasta la vista, vecchio Ugo!