Arriva sessant’anni dopo, e a carico di un uomo ormai novantenne, la condanna all’ergastolo per l’esecuzione materiale dell’eccidio di Cefalonia – tra i cinquemila e i seimila soldati assassinati – del settembre del 1943. Alfred Stork, ex sottufficiale della Wehrmacht, allora ventenne, è stato raggiunto ieri in Germania, dove vive, dalla notizia della condanna in contumacia emessa dal tribunale militare di Roma. Il processo che si è aperto il 19 dicembre scorso con la prima udienza non ha però trattato l’entità del risarcimento alle parti offese, che sarà stabilita in sede civile.

Stork raccontò otto anni fa, in una dichiarazione che non è stata trascritta agli atti perché deposta senza la presenza di un legale, di essere stato «scelto a caso» per far parte dei plotoni di esecuzione entrati in azione alla Casetta Rossa e che, nell’arco di una settimana, trucidarono con fucilazioni sommarie e rappresaglie praticamente tutti i soldati italiani della Divisione Acqui. «Ci hanno detto che dovevamo uccidere degli italiani» perché «erano considerati dei traditori»; «mi si è fatto buio quando ho saputo questa cosa. Non sarei mai riuscito a farla», raccontò allora l’ex soldato nazista che però è stato individuato tra i 10-12 soldati che costituirono il plotone d’esecuzione che uccise almeno 73 ufficiali italiani.

Altri 62 ufficiali vennero trucidati invece da un secondo plotone comandato da Otmar Muhlhauser, l’ufficiale che negli anni scorsi venne incriminato dalla procura militare di Roma e morì nel luglio 2009, mentre era in corso l’udienza preliminare nei suoi confronti. Ma è proprio sul refrain degli «ordini» che non potevano essere disattesi «pena la morte» che si è concentrata l’attenzione del procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, coordinatore delle indagini. «Non è vero è una delle tante bugie – ha detto nella sua requisitoria – Il militare ha il dovere di non adempiere ad ordini palesemente criminosi, illegittimi e assurdi, come quello di uccidere altri soldati che si sono arresi: a Cefalonia ci sono stati dei rifiuti e non risulta che nei confronti di chi ha detto di no siano state adottate sanzioni. Chi ha ucciso in modo così vergognoso era consapevole della totale illegalità della propria condotta».

Una sentenza «certamente destinata a fare la storia» accolta con un sospiro di sollievo dall’Anpi che ringrazia il «serio e attento sforzo investigativo» del procuratore De Paolis.