L’Unione europea non sembra intenzionata a cedere al ricatto di Ungheria e Polonia su bilancio pluriennale e Recovery Fund facendo un passo indietro sullo Stato di diritto. Ad annunciarlo è stato ieri u portavoce della presidente ursula von der Leyen spiegando che la commissione Ue «lavorerà alle alternative tecniche sulle misure di bilancio», anche «se la nostra priorità rimane quella di applicare al più presto il nuovo quadro finanziario pluriennale e il programma Next Generation Ue».

Lo scontro avviato da Budapest e Varsavia sul pacchetto finanziario da oltre 1.800 miliardi di euro è quindi destinato a durare. Con nessuno dei contendenti intenzionato a cedere. Se giustamente Bruxelles fa muro alle pretese dei due Paesi di Visegrad, dall’altra parte si continua a rispondere a muso duro e con i soliti toni da propaganda. Un chiaro esempio sono le parole usate ieri da Viktor Orbán: «Al bilancio Ue e al Recovery Fund è indispensabile l’approvazione dell’Ungheria e della Polonia, ma la nostra posizione di rifiuto è di ferro, non faremo alcun compromesso», ha detto il premier ungherese parlando alla radio pubblica spiegando di voler separare la questione relative al bilancio e al Recovery Fund dalle condizionalità sullo stato di diritto, vero motivo dell’opposizione fatta dalle due capitale dell’est. «Noi, con i polacchi diciamo da luglio che non bisogna legare le due cose», ha proseguito Orbán ripetendo che l’Unione europea sta eseguendo «il piano di George Soros» (il finanziere americano di origine ungherese che Orbán considera un nemico) quando, a suo dire, intenderebbe sanzionare finanziariamente gli Stati che rifiutano di accogliere i migranti.

In una lettera alla presidente von der Leyen il premier polacco Mateusz Morawiecki ha definito il meccanismo di condizionalità che subordina l’utilizzo dei fondi europei al principio dello stato di diritto come il motivo futuro di un eventuale «sfaldamento dell’unità dell’Ue».