La guerra dei cent’anni per un’Europa del XXI secolo in lotta intestina contro le «pratiche fiscali aggressive» ha trovato la sua Jeanne d’Arc nel giorno di una sconfitta: la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, dopo aver commentato la sentenza della Corte europea che ha annullato la decisione della Commissione del 2016 che condannava gli aiuti illegali dell’Irlanda a Apple attraverso sgravi fiscali selettivi, ha rilanciato l’offensiva sul pagamento della «giusta parte di imposte»: «Se gli stati membri accordano ad alcune multinazionali vantaggi fiscali di cui non godono i loro concorrenti, questo priva le finanze pubbliche e i cittadini dei fondi necessari per gli investimenti indispensabili, ancora di più in periodo di crisi». Vestager ricorda che «in due precedenti sentenze sul trattamento fiscale di Fiat in Lussemburgo e di Starbucks in Olanda, il tribunale aveva confermato che anche se gli stati membri dispongono di una competenza esclusiva in materia di fiscalità diretta, lo devono fare nel rispetto del diritto dell’Ue e delle regole in materia di aiuti di stato».

La lotta diventa più dura, nel momento in cui la crisi del Covid ha messo in ginocchio l’economia e gli stati membri si disputano l’ampiezza e le caratteristiche del Piano di rilancio che sarà al centro del Consiglio europeo di domani e sabato. Anche se le armi restano spuntate a Bruxelles: l’armonizzazione fiscale è un progetto che resta nel vago, in questo campo è richiesto il voto all’unanimità, il fisco resta di competenza nazionale, con enormi differenze (in Irlanda le imprese sono tassate al 12,5%, in Francia oltre il 30%) e per lottare la Commissione ha in mano solo lo strumento degli “aiuti di stato” illegali.

Ieri, per caso, insieme alla sentenza sul caso Irlanda-Apple è stato pubblicato anche il nuovo pacchetto di Bruxelles sul fisco equo e semplificato, destinato a sostenere rilancio e crescita proprio nel delicato momento del dopo-Covid. Si tratta dell’ennesimo pacchetto, che anno dopo anno si ripete per poi constatarne l’impotenza. La storia è lunga, i Luxleaks dei Panama Papers avevano rivelato i traffici. Nel pacchetto, che comprende 25 nuove iniziative da adottare entro il 2024, oltre alla semplificazione amministrativa inter-statale ci sono elementi per intensificare la lotta contro le pratiche fiscali abusive e una modifica del codice di condotta nella tassazione delle imprese. Nel mirino di Bruxelles ci sono in particolare 6 stati che hanno già a varie riprese ricevuto raccomandazioni per mettere fine a queste pratiche: Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Cipro e Malta per i paesi euro, più l’Ungheria per i non-euro. Ma i 6 non compaiono nella “lista nera” né in quella “grigia” dei paradisi fiscali che Bruxelles pubblica e che riguarda solo paesi extra Ue.

Il pacchetto ha un particolare capitolo dedicato alle piattaforme digitali, che per il momento sfuggono alla tassazione, che potrebbe portare 1,3 miliardi al budget Ue: alcuni paesi (Francia, Spagna, Italia, Austria) hanno deciso di andare avanti da soli se la Ue non riesce a imporre una Google tax unica, ma gli Usa di Trump hanno subito minacciato di alzare le tariffe doganali come ritorsione. L’anno scorso Irlanda, Svezia e Finlandia hanno bloccato la discussione sulla Google tax. La Germania, per paura delle ritorsioni Usa (sull’export di auto per esempio) preferisce aspettare che ci sia una “tassa mondiale” sulle piattaforme, che è difatti allo studio all’Ocse. Ma all’Organizzazione che riunisce i paesi più industrializzati i lavori sono ormai bloccati a causa degli Usa e quindi l’ipotesi di una tassazione universale si sta allontanando nel tempo. Eppure, c’è fretta, anche perché le piattaforme digitali sono tra i grandi vincenti dei mesi del Covid.

Per Paolo Gentiloni, commissario all’Economia, «una fiscalità equa è il trampolino di lancio che permetterà alla nostra economia di ripartire e di uscire dalla crisi. Queste proposte permetteranno agli stati membri di garantire le entrare di cui hanno bisogno per investire nel capitale umano e nelle infrastrutture».