Si parla di flessibilità, ma con gli occhi rivolti al referendum. Da Bruxelles il commissario Ue all’Economia Pierre Moscovici lancia un’àncora di salvataggio al premier italiano. Le flessibilità aggiuntive chieste dall’Italia per fronteggiare l’emergenza migranti e le spese per il terremoto, dice, «sono flessibilità precise, limitate e chiaramente spiegate». Non è ancora il sospirato sì alle richieste di Roma ma ci si avvicina molto. La spiegazione della generosità europea è più che eloquente: «In Italia c’è una minaccia populista. Per questo sosteniamo gli sforzi di Renzi». Non è una novità: a Bruxelles e Strasburgo Renzi non è molto amato ma è considerato il male minore. Il ragazzo di Rignano lo sa e non esita a usare la magica carta ogni volta che ne ha bisogno. Con il referendum dietro l’angolo e a ruota il rischio della vittoria “populista” un no europeo alle richieste dell’Italia è più impossibile che improbabile.

Tranquillo o quasi da questo punto di vista, Renzi gioca l’altra atout di cui dispone per convincere gli italiani a salvarlo approvando la sua riforma: quella apocalittica. «Se vince il No i cambiamenti saranno bloccati per trent’anni», assicura. Non uno di meno, magari qualcosina in più. Se invece vincessero i sì, allora la riforma, dei cui limiti evidentemente si rende conto da solo, potrebbe essere poi riformata, con «miglioramenti e interventi in altre questioni».

Il premier è ormai impegnato in una campagna elettorale martellante. Lo stesso dicasi per quasi tutti i leader del No. Grillo e l’M5S e Sinistra italiana sono presenti su tutti i fronti. D’Alema dall’interno del Pd sta evidentemente giocando la partita della sua vita. Tra lui e il vertice dem ormai è guerra aperta. Lo scambio di battute di ieri è stato spietato. L’ex leader ha bollato la riforma come «ispirata da J.P. Morgan». L’attuale segretario del Pd ha replicato accusando il rottamato di aver «combattuto Prodi e Veltroni più di Berlusconi. Ma non lascio a lui e agli altri la possibilità di bloccarci il futuro». Ventiquattr’ore prima era stato Luca Lotti a scagliarsi contro D’Alema «accecato dall’odio per una poltroncina mancata», alludendo alla carica di Alto rappresentante Ue per la politica estera.

All’appello dei leader del no manca Silvio Berlusconi, in cura oltre oceano. In questi giorni hanno avuto ampia circolazione voci più o meno fantastiche su una precisa strategia, con l’obiettivo di tirarsi fuori dalla battaglia referendaria per dare di nascosto una mano all’ex socio del Nazareno. Tanto che dagli spalti azzurri si sentono in dovere di precisare. Lo fa il deputato azzurro Giacomoni, fresco di colloquio telefonico col Silvio americano: «Spera di tornare in Italia la settimana prossima e intende impegnarsi per il No».

In realtà l’ex Cavaliere aveva già da un po’ annunciato ai suoi l’intenzione di fare la sua parte nella campagna elettorale, nonostante la ferma opposizione della figlia Marina che teme per la sua salute, adoperando lo strumento che sa usare meglio di chiunque altro: la televisione. Non subito però ma a novembre. La decisione di intervenire solo nell’ultima fase della battaglia si spiega facilmente. Berlusconi non ha alcuna intenzione di lasciare ai “competitor” tutto il merito della vittoria. Però non intende neppure legare la propria immagine a una sconfitta. Se a novembre, con le urne ormai vicine, vedrà l’affermazione dei No a portata di mano, si farà sentire. Altrimenti preferirà soprassedere. In ogni caso, affila le armi in vista della trattativa con Renzi che, comunque finisca il referendum, dovrà comunque aprirsi dubito dopo.