Un incontro a Ypres, memento mori per l’Europa, cittadina del Belgio dove vennero utilizzati i gas e morirono 5mila persone in pochi minuti, per ricordare che cent’anni fa, a luglio, iniziava la prima guerra mondiale e che l’Europa ancora oggi può morire, per i nazionalismi in crescita ma anche, nell’analisi del fronte socialdemocratico, per l’austerità che soffoca l’economia. Alla cena ieri sera, il piatto forte del menu è stata la scelta da parte del Consiglio del lussemburghese Jean-Claude Juncker come presidente della prossima Commissione Ue. A Ypres erano stati i britannici in prima linea per opporsi ai tedeschi. Ieri, solo Angela Merkel ha cercato di evitare l’isolamento in cui si è chiuso David Cameron, assieme al suo solo alleato, l’ungherese Viktor Orban, nell’opposizione al “federalista” Juncker.

Il lussemburghese ha molti difetti, era già presente ai negoziati per l’unione monetaria nei primi anni ’90, è stato ministro e premier di un paradiso fiscale, ma la sua nomina è difesa oggi in nome del principio di democrazia: era il candidato della destra Ppe, che ha vinto (di poco) le europee. Cameron ha cercato di ricattare i partner, affermando che un federalista a Bruxelles avrebbe favorito il rifiuto dell’appartenenza della Gran Bretagna alla Ue nel referendum che ha promesso di indire nel 2017 (sempre che conservi il potere). Merkel non rifiuta un eventuale voto al Consiglio su Juncker (dove non esiste possibilità di veto), come voleva Cameron, perché pensa di utilizzare l’asse con i conservatori britannici per cedere il meno possibile all’offensiva socialdemocratica e alla nuova intesa italo-francese.

Più importante del nome del successo di Barroso, i capi di stato e di governo hanno cominciato a discutere del mandato da dare alla Commissione, cioè dei contenuti della sua politica. E qui il braccio di ferro è impegnativo. Prima del vertice, alla riunione del Pse, Renzi ha ancora condizionato il voto positivo dell’Italia a Juncker a «un documento chiaro su dove vuole andare l’Europa». I nomi verranno dopo: le altre importanti cariche (presidente del Consiglio e dell’europarlamento, Alto rappresentante della politica estera) saranno decise entro metà luglio. Oggi a Bruxelles, dove si spostano i capi di stato e di governo, la battaglia è sui contenuti. Merkel ha voluto chiudere la bocca agli assalitori: «Nessuno ha chiesto un cambiamento delle regole sui deficit e nessuno lo chiederà» ha affermato. Nella bozza di conclusioni non c’è riferimento all’esclusione di categorie di spesa dal calcolo del deficit, come vorrebbe l’Italia, per tener conto dei costi delle riforme richieste da Bruxelles per rientrare nei parametri di Maastricht. Ma ci può essere un allungamento dei tempi, con una lettura meno rigida dei trattati, che impongono la stabilità ma parlano anche di crescita, come sostengono anche i social-democratici tedeschi. Se crescita e occupazione saranno messe in testa alle conclusioni sarà possibile leggere un cambiamento nelle politiche europee.

L’asse italo-francese è un po’ a geometria variabile. Renzi cerca una vittoria sulle parole, come primo passo. Hollande resta impantanato nella prudenza della diplomazia tradizionale. Ma la Francia propone qualche passo concreto: a cominciare da un programma di investimenti europei, che in 5 anni potrebbe arrivare a 1200 miliardi, per infrastrutture, ricerca, energia, formazione. Anche il risparmio delle famiglie dovrebbe essere sollecitato. Il programma per l’occupazione giovanile dovrebbe passare dai 6 miliardi attuali a 20. Hollande è con le spalle al muro, la disoccupazione è aumentata in Francia dello 0,7% a maggio, i disoccupati sono 3,4 milioni.

In discussione oggi c’è anche l’immigrazione. Ieri, c’è stato un vertice dei ministri degli interni. Nessuna novità: l’Europa vuole maggiori controlli per limitare i clandestini. La Francia propone l’istituzione di un corpo di gendarmi delle frontiere. Ma Renzi difficilmente otterrà di più per il Mediterraneo, al di là delle promesse di rafforzamento di Frontex. Sul tavolo c’è la riforma del diritto d’asilo, ma l’Italia viene sospettata dai partner del nord di concedere visti con troppa facilità.