E no, il governo non può stare troppo tranquillo se si sfonda il tetto del 3% di deficit. Ci aveva provato qualche giorno fa il Tesoro, ammettendo che scostamente ci sarebbero potuti essere, ma aggiungendo che sarebbero comunque stati gestibili. E ieri era intervenuto il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, infastidito – un po’ come tutto il Pdl – dalle preoccupazioni mostrate dal Commissario Ue Olli Rehn tre giorni fa: «Siamo un Paese sovrano, tra i fondatori dell’Europa, non commissariato e come raggiungere quel 3% e le politiche industriali lo decide l’Italia e non un commissario», ha osservato ieri piccato Lupi.

E invece l’Europa ci sta a guardare, ci monitora, e anzi ieri dalla Commissione hanno precisato che il 3,1% di deficit previsto (oggi dovrebbe ufficializzarlo il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni al consiglio dei ministri), se ci sarà, dovrà essere corretto eccome: «Un deficit al 3,1% è diverso da un deficit al 3% – hanno spiegato fonti di Bruxelles alle agenzie – e se l’aggiornamento delle stime del Def confermerà il 3,1% serviranno misure per riportarlo al 3%». La Commissione – continuano le fonti interne intervistate – è stata comunque «già rassicurata da Saccomanni sulle misure che saranno prese per non sforare il 3%».

Ulteriori 1-1,5 miliardi di euro che si vanno ad aggiungere al già difficile rebus dei conti di fine anno. Come ricordava ieri il viceministro all’Economia Stefano Fassina in un’intervista al manifesto, si sono accumulati diversi capitoli, e probabilmente il governo dovrà scegliere, non potendo finanziarli tutti: l’ultima rata dell’Imu, il rinvio dell’aumento Iva (da far slittare all’1 gennaio, per il momento è previsto al primo ottobre, dal 21% al 22%), la cassa integrazione, le missioni internazionali, e appunto eventuali aggiustamenti per stare dentro il 3%. I problemi sono stati creati principalmente dal Pil, che non cresce come prevedeva il governo, e quindi cambia tutti i conti anche rispetto al deficit (l’ultima previsione del governo dava un -1,7% per il 2013, mentre la Ue già ci pone al -1,9%; e probabilmente Saccomanni oggi correggerà anche questo dato).

La conferma che la coperta è corta e che si dovrà scegliere tra Iva e Imu, come proponeva il viceministro Stefano Fassina ponendo anche un punto politico di scontro con il Pdl, ieri è arrivata anche da parte di fonti del Tesoro, vicine allo stesso Saccomanni: «O si finanzia l’abolizione dell’Imu – dicono a Via XX settembre – o si finanzia il blocco dell’aumento dell’Iva. Entrambe le cose non sono possibili».

Eliminare l’ultima rata dell’Imu verrebbe a costare 2,4 miliardi di euro; quanto all’Iva, se il governo decidesse di lasciare che si innalzi adesso, si attirerebbe delle critiche subito, ma eviterebbe di trovarsi una nuova gatta a pelare in gennaio, quando comunque di nuovo questa imposta dovrebbe tornare a risalire (è una legge a prevederlo, addirittura del governo Berlusconi, del settembre 2011), a meno che non si trovino altri 4 miliardi per l’intero 2014 (o 1 miliardo ogni trimestre, ma siamo sempre là).

Quei 4 miliardi dell’Iva per il 2014, tra l’altro, come il miliardo necessario per l’ultimo trimestre 2013, potrebbero essere utili per altre emergenze, come la cig, o per decisioni più strutturali, come la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, chiesto sia dalla Confindustria che dai sindacati. Infatti questi due ultimi fronti certo non auspicano l’aumento dell’Iva, ma sono più interessati a provvedimenti per il lavoro, mentre ad esempio i commercianti vedono negativamente l’incremento della tassa sui consumi, visto che potrebbe gelare anche i seppur piccoli segnali di ripresa avvertiti negli ultimi tempi.

I commercianti rinnovano l’allarme: «Gli effetti recessivi dell’aumento Iva sono un dato certo – dice il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli – Perciò da tempo e con analisi circostanziate, ribadiamo che la priorità è far ripartire la domanda interna che, per investimenti e consumi, rappresenta l’80% del Pil. Questa è la priorità per sostenere l’economia reale fatta di consumi che crollano, imprese che chiudono e una ripresa che, per il momento, è solo annunciata».