Secondo un report pubblicato dall’International Advisory Panel, le indagini svolte a proposito di quanto accaduto durante le giornate ucraine della Majdan, «mancherebbero di indipendenza» e non sarebbero in grado di spiegare, davvero, quanto successo. «L’indagine sulle indagini», è stata richiesta dal Consiglio d’Europa, che lo scorso 31 marzo ha presentato i risultati, riportati solo da Guardian e Reuters, tra la stampa mainstream europea. Le inchieste su quanto accaduto nelle piazze ucraine tra l’ottobre 2014 e il febbraio 2015, avrebbero dovuto chiarire molti punti oscuri sugli avvenimenti. Innanzitutto avrebbero dovuto dimostrare con delle prove solide, cosa accadde il 30 novembre, quando ci fu il primo vero scontro tra la polizia speciale dell’allora presidente Yanukovich e le forze rimaste in piazza, per lo più militanti dei gruppi di estrema destra. In quella data, quanto era nato come una protesta contro la corruzione e la scelta di Yanukovich di rivolgersi a Mosca, anziché firmare gli accordi di pre-associazione con l’Europa, era già diventato qualcosa di diverso.

L’escalation

Se all’inizio delle proteste, specie nelle prime settimane, c’era in piazza la società civile ucraina, compresi i gruppidi sinistra, dopo i tentativi di mediazione falliti tra i rappresentanti delle opposizioni (Klitschko e gli uomini del partito nazista di Svoboda) e Yanukovich, in piazza erano rimasti proprio quelli di Svoboda, razzisti e nazionalisti anti russi e Settore Destro, che si era formato unendo altri gruppetti di estrema destra, proprio durante le giornate di battaglia in piazza. Da quel momento in avanti si sarebbero avuti scontri quasi quotidiani tra manifestanti e poliziotti, fino ad arrivare a quelli di gennaio, quando ci furono i primi morti. In un’escalation che a quel punto divenne brutale quanto prevedibile, si arrivò agli scontri di febbraio, quando le vittime, ufficialmente, furono 77 (secondo il rapporto in totale sarebbero stati uccisi tra 78 e 92 manifestanti e più di 1.000 persone sarebbero rimaste ferite, mentre 13 agenti delle forze dell’ordine sarebbero stati uccisi e circa 900 feriti). In totale i morti furono oltre cento in quella che apparì come una vera e propria guerra civile: da un lato c’era la Majdan, ovvero i paramilitari di Settore Destro e i militanti di Svoboda, dall’altro l’esercito dei Berkut. In mezzo, secondo molte testimonianze provenienti da ambo le parti, servizi segreti ucraini, russi e uomini della Cia.

Un ginepraio in cui molto probabilmente le responsabilità sono diffuse e sono di tutti. Spararono tutti, morirono militanti e poliziotti, entrambe le parti si sono macchiate di delitti. Il problema è che ciascuna delle due fazioni vuole che la propria verità prevalga su quella degli altri. La stampa mainstream occidentale, sempre in cerca di «buoni» da contrapporre ai «cattivi», ha fatto il resto, in termini di diffusione dei fatti. La verità poi, a volte, è molto più semplice di tanti contorsionismi. Come avrebbe dimostrato il resto della storia ucraina – fino ad arrivare ai nostri giorni – non c’è una parte che ha ragione e una che ha torto. La realtà è molto più complessa di banalizzazione giornalistiche.

Cosa non ha funzionato

Così, ad esempio, solo un anno dopo la Bbc ha scritto circa quanto circolava a Kiev (e quanto ha scritto il manifesto) da oltre un anno: a sparare a Majdan, non furono solo i Berkut. E l’indagine richiesta dal consiglio d’Europa non chiarisce cosa accadde, ovvero chi sparò a chi. Attesta solo quanto sappiamo: qualcosa non ha funzionato fin da subito, nelle indagini. Anche perché, come sottolineano gli estensori del report, in un primo tempo chi doveva indagare «era anche l’oggetto dell’indagine». La polizia di Kiev di Yanukovich prima, e quella di Yatseniuk e Poroshenko dopo, hanno messo «del loro» per evitare che alcune verità venissero a galla. Inoltre l’inchiesta sarebbe stata portata avanti, in seguito, da un personale ridotto e non idoneo a questo tipo di ricerche. «La mancanza di autentiche indagini durante i tre mesi di manifestazioni, ha inevitabilmente fatto sì che le indagini non siano iniziate tempestivamente e questo ha costituito, di per sé, una sfida notevole per le indagini, che hanno avuto luogo successivamente» è scritto nel report. Come sottolineato dal Guardian, «Le forze di polizia hanno tentato di sgomberare brutalmente l’occupazione di Majdan numerose volte tra il novembre 2013 e il febbraio 2014. Allo stesso tempo, i nazionalisti hanno guidato alcuni scontri violenti, e le foto e le interviste indicano che almeno due manifestanti hanno sparato con fucili contro la polizia il 20 febbraio, quando 50 manifestanti e tre poliziotti sono stati uccisi. Nel frattempo, i media russi hanno sostenuto che i cecchini sono stati impiegati dall’opposizione e dalle agenzie di intelligence occidentali per provocare il rovesciamento di Yanukovich».

Banco di prova

Il Guardian specifica inoltre come «le indagini per trovare i colpevoli» siano stati -anche – un banco di prova per il nuovo governo, «che sta lottando per completare le riforme politiche ed economiche richieste dai creditori occidentali in mezzo a un conflitto con i ribelli sostenuti dalla Russia a est». Ma i risultati del nuovo rapporto suggeriscono che «non è ancora stato in grado di sradicare ciò che Bratza (uno degli estensori del report ndr) ha chiamato il vero problema dell’impunità e della mancanza di responsabilità delle forze dell’ordine in Ucraina». Impunità e irresponsabilità che ha costituito un caratteri di continuità tra il prima e il dopo, nonostante il regime change. La polizia di Poroshenko, non è dunque diversa da quella «comandata» dal precedente oligarca. «Il ministero degli interni – si legge – ha svolto un ruolo importante, perché non è stato ancora costituito un organismo indipendente in grado di indagare gli abusi della polizia. Anche se molti funzionari del ministero dell’Interno sono fuggiti dopo la cacciata di Yanukovych, alcuni alti funzionari sono stati nominati per nuove posizioni in agenzia, finendo per minare la fiducia del pubblico».

Il colpevole «scappato»

Ci sono poi «colpevoli scappati», ma sulle cui responsabilità esistono molti dubbi. Sono esempi di come non tutto sia chiaro circa quanto accaduto in quelle giornate. È il caso di Dmytro Sadovnyk. La sua storia è stata proposta mesi fa dalla Reuters, quando un’inchiesta patrocinata dall’agenzia di stampa dimostrò molti «punti deboli» e incongruenze, circa quanto era stato raccontato sugli eventi di Majdan. Sadovnyk, 38 anni, pluridecorato poliziotto ucraino, venne arrestato insieme ad altre due persone e accusato di avere ucciso almeno 17 persone durante gli scontri di piazza. Successivamente venne rilasciato in libertà vigilata ed è infine fuggito (come tanti altri Berkut, presumiblmente è in Russia). Ma sulle sue responsabilità in piazza si è giocata molta delle credibilità delle indagini ucraine al riguardo. La foto che inchioderebbe il comandante berkut infatti, lo mostrerebbe mette tiene con due mani un pesante fucile. Peccato che, scrive il giornalista della Reuters, Sadovnyk non abbia due mani, perché sarebbe rimasto ferito anni fa, perdendo uno degli arti. Lo stesso poliziotto in tribunale, quando venne presentata la fotografia, si tolse il guanto mostrando il moncherino. «Non può neanche sparare, disse il suo avvocato». Non è finita qui. Perché stando a quanto affermato dai responsabili del report, un altro rapporto sarebbe già in lavorazione: si tratta di quello che dovrà appurare come Kiev ha condotto le indagini sul punto più macabro e terribile della guerra con le regioni orientali: l’incendio della casa dei sindacati di Odessa dove morirono – probabilmente – oltre cento persone.