L’Europa resta spaccata, tra l’est ostile alle quote e l’ovest che le propone, ma dove comunque ogni paese pone poi delle condizioni particolari. Ieri, due riunioni nella Ue, hanno dato risultati contraddittori. A Lussemburgo, i ministri degli Esteri della Ue, sotto la pressione del tandem franco-tedesco, hanno cercato la strada di un’intesa, in vista della riunione dei ministri degli Interni del 14 settembre, che dovrebbe essere seguita, a breve, da un Consiglio europeo dei capi di stato e di governo. Mentre al castello di Praga ha dominato un clima kafkiano: Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia hanno ribadito il “no” alle quote, ma al tempo stesso si dicono pronti ad aprire un “corridoio” ferroviario verso la Germania per i profughi raggruppati in Ungheria, in cambio di garanzie precise che Berlino non li respingerà. La Gran Bretagna cambia posizione, David Cameron ammette: “oggi posso annunciare che accetteremo migliaia di rifugiati siriani in più”. Ma poi Londra, che finora ha accolto 5mila siriani, precisa che si tratta di profughi che hanno trovato rifugio nei paesi confinanti della Siria, non di persone che sono già sul territorio europeo. La Serbia offre solidarietà, il ministro degli Interni Nebojsa Stefanovic si è detto “pronto a discutere” di prendere parte all’accoglienza: “in quanto paese che auspica di diventare membro della Ue, è l’occasione di mostrare che siamo pronti a questo compito”. Intanto, i numeri si gonfiano e persino il Pentagono soffia sul fuoco dell’allarmismo. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, che mercoledi’ preciserà a Strasburgo l’ “Agenda della migrazione”, ha fatto sapere che ormai i numeri su cui lavora Bruxelles sono passati da 40mila a 160mila, presenti in Italia, Grecia e Ungheria, da redistribuire tra i paesi membri (l’Onu prevede 200mila profughi per l’Europa). Il Pentagono parla di “enorme emergenza” e afferma che il fenomeno è destinato a durare, almeno per “vent’anni”. Il segretario di stato John Kerry, ammette che “gli Usa potrebbero fare di più per proteggere queste persone”, ma da Washington precisano che non ci saranno modifiche delle leggi sull’immigrazione, per favorire l’arrivo di rifugiati siriani.

“L’Europa non ha diritto di dividersi di fronte a questa sfida”, basta con le “recriminazioni”, ci vuole “cooperazione”, ha affermato il ministro tedesco Frank-Walter Steinmeier a Lussemburgo, rispondendo indirettamente alle accuse dell’ungherese Orban, che considera la Germania “colpevole” di attirare migranti. Dalla Grecia, il vice-presidente della Commissione, Frans Timmermans, ha insistito: “l’Europa deve agire insieme e unita”. Per Timmermans, “viviamo un momento di verità storica in Europa, possiamo riuscire assieme e uniti oppure possiamo fallire ognuno a modo suo, nel proprio paese”. Ha pero’ precisato: “l’Europa senza frontiere non puo’ sopravvivere ma l’Europa non puo’ neppure sopravvivere se cediamo sui valori e sugli obblighi legali”. La Francia non usa il termine “quote”, battezzate “meccanismi” da Hollande, che “non hanno senso” per il ministro degli interni, Bernard Cazeneuve. Il primo ministro, Manuel Valls, ha precisato ieri che l’apertura di hotspot (in Italia e in Grecia) è una condizione preliminare: “perché questa spartizione obbligatoria sia accettata e possibile ci vuole una pre-condizione: la messa in atto di quelli che vengono chiamati hotspots, cioè per parlare più chiaramente, dei centri di accoglienza”. La Francia potrebbe, in questo caso, accettare altri 27mila profughi sul suo territorio, ma già c’è una levata di scudi a destra. Intanto a Parigi proseguono gli sgomberi di accampamenti illegali: ieri è stata la volta dello square Jeissant, i 123 migranti sono stati portati in centri di accoglienza. Anne Hidalgo, la sindaca della capitale, chiede un piano per ripartire in Francia i migranti che arrivano a Parigi, “più di 80 al giorno, molti minorenni isolati”.

A Praga, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia e Polonia affermano di non volere le quote obbligatorie, perché comunque i rifugiati “non vogliono restare da noi, ma andare più a ovest”, afferma il ministro degli Interno ceco, Milan Chovanec, secondo il quale le quote “non risolvono niente, non è chiaro come siano calcolate né cosa debbano fare le autorità locali per trattenere i profughi”. L’Ungheria rifiuta “lezioni di morale” dall’ovest e afferma di non fre altro che “applicare Schengen”. La Commissione cerca di dividere il fronte di Visegrad: già la Polonia è meno drastica e all’Ungheria, che pure ieri ha varato nuove leggi per aumentare i controlli di polizia sui migranti, ha proposto di mettere nel calcolo della quota di Budapest i profughi già presenti nel paese (163mila, secondo il ministro degli esteri, Peter Szljarto). Alla carota si aggiunge il bastone della minaccia di sanzioni, per chi rifiuterà le quote obbligatorie.