Gli affari, ma evitando l’ingenuità. E’ la nuova strategia adottata dalla Commissione europea nei confronti del gigante cinese, con il programma di 10 misure concrete presentato da Bruxelles all’ultimo Consiglio europeo, dove la Cina è definita “rivale sistemico” e “concorrente strategico”. Simbolicamente, a due settimane dal summit Ue-Cina del 9 aprile prossimo, ieri il presidente Xi Jinping, dopo le più facili tappe in Italia e a Montecarlo (la Cina non disdegna nessuno, neppure il piccolo principato), all’Eliseo si è trovato di fronte uno schieramento Ue: Emmanuel Macron, accanto a Angela Merkel e Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione. Macron aveva avvertito: “non è più tempo di giocare ognuno per sé, bisogna avere un approccio coordinato, se vogliamo esistere dobbiamo parlare con una sola voce”. Adesso “aspettiamo dai nostri partner che rispettino l’unità della Ue”, ha detto a Xi Jinping. Juncker ha parlato di necessità di “maggiore equilibrio, tra Ue e Cina deve instaurarsi una reciprocità più articolata di quanto non ci sia oggi”. La Francia intende “collaborare” alla Belt and Road Initiative (nel senso di partecipare a investimenti nei paesi attraversati dalla Via della Seta), ma non ha aderito al progetto cinese come ha fatto l’Italia, assieme a una dozzina di piccoli paesi Ue.

La Ue chiede “reciprocità”, in particolare per gli appalti pubblici, e dal 2017 in sette paesi, tra cui Francia e Germania, sono stati posti dei “filtri” agli investimenti cinesi, nei settori “sensibili” delle tecnologie e delle infrastrutture che vengono considerate critiche (il Parlamento europeo ha votato un “filtro” sugli investimenti strategici di paesi terzi e su questa base il commissario Oettinger ha messo in guardia l’Italia, invitando la Commissione a mettere sotto esame gli accordi conclusi nella tappa romana di Xi Jinping). Per esempio, nella tappa in Francia, non è stato possibile concludere un accordo del valore di 10 miliardi di euro per la costruzione in Cina, con tecnologia francese, di un impianto per il trattamento delle scorie nucleari, perché ci sono dubbi sul trasferimento di tecnologia. Questo non ha impedito la firma di molti contratti, a cominciare dalla vendita di 290 Airbus A320 e 10 A350, per un valore di 30 miliardi, un accordo con Edf per l’eolico (1 miliardo), 6 miliardi per Schneider Electric per lo sviluppo di una fabbrica di Power Construction Corporation, un contratto per la costruzione di porta-container per 1,2 miliardi, oltre a accordi per l’export di pollame (dopo quelli sulla carne). Il Centre Pompidou aprirà una succursale a Shangai il prossimo autunno. La bilancia commerciale francese con la Cina è in deficit, 32 miliardi, al contrario della Germania, che ha un attivo di 20 miliardi. La Ue, primo partner commerciale della Cina – mentre la Cina è il secondo per la Ue – esporta verso Pechino per 198 miliardi ma importa per 375 (dati 2017), ed è invece in attivo sui servizi (45 miliardi di export, 28 di import). La Germania ha cambiato posizione negli ultimi tempi, dopo aver incassato un’Opa cinese su Kuka (robotica) e la presa di partecipazione di più del 7% in Daimler. Heiko Maas, ministro degli Esteri tedesco, avverte: “se alcuni paesi credono di poter fare affari con i cinesi, saranno sorpresi quando si accorgeranno che sono diventati dipendenti” (la Grecia è un esempio negativo: nel 2016, la Cina ha ottenuto la gestone di due su tre terminal del porto del Pireo e nel 2017 Atene ha bloccato all’Onu una dichiarazione critica sui diritti umani in Cina). Macron ha spiegato che “al di là della relazione bilaterale, abbiamo posto al centro delle discussioni la questione della partnership tra Ue e Cina, che deve essere definita su basi chiare, esigenti e ambiziose”. La questione di Huawei e della 5G resta aperta, per i timori di spionaggio. La Ue cerca di stabilire con la Cina delle relazioni attente al multilateralismo: cosi’, all’Eliseo ieri la discussione ha toccato anche le questioni ambientali, la lotta al riscaldamento globale e la difesa della biodiversità.

Siamo in una fase di de-mondializzazione, e anche gli investimenti cinesi ne risentono: quelli diretti di Pechino nei pesi Ue sono diminuiti del 40% nel 2018 (negli Usa addirittura del 95%) rispetto a due anni prima, 17,3 miliardi di euro rispetto al culmine toccato nel 2016 a 37,2. Nella Ue, gli investimenti cinesi tra il 2000 e il 2018 sono stati di 46,9 miliardi di euro in Gran Bretagna, 22,2 in Germania, 14,3 in Francia, 15,3 in Italia, 4,5 in Spagna.