Si è concluso ieri a Bruxelles il vertice tra l’Unione europea e la Celac, la Comunità degli stati latinoamericani e caraibici. Gli oltre 40 capi di stato e di governo hanno discusso su come «costruire un futuro comune». Federica Mogherini ha confermato il forte interesse dell’Italia per l’America latina, quantificato negli oltre 500 milioni di euro investiti. Da entrambi i blocchi regionali, sono arrivate dichiarazioni soddisfatte per la firma di «importanti accordi bilaterali»: per alcuni – come Messico, Perù e Colombia, che insieme al Cile sono al centro dell’Alleanza del Pacifico voluta dagli Stati uniti – si è trattato all’insegna del «libero commercio». Anche la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha assicurato alla Ue che, dopo più di dieci anni di trattative, il Mercosur (di cui il Brasile fa parte insieme ad Argentina, Venezuela, Uruguay e Paraguay) starebbe per concludere il Tlc.

Le trattative con il Mercosur sono state avviate prima dell’ingresso del Venezuela nell’organismo e nell’ultima riunione che si è svolta a Caracas vi sono state scintille tra i ministri degli Esteri incaricati. Nel Mercosur, la regola è che i negoziati si decidono insieme. Rousseff sta cedendo alle pressioni degli industriali brasiliani?
Per le sinistre latinoamericane, il Tlc per come lo ha concepito la Ue con la Colombia o il Perù va nel senso opposto agli obiettivi di sviluppo economico indipendente dichiarati dal Mercosur. Seppur mascherato dietro la dicitura di «cooperazione economica», le conseguenze provocate dalle liberalizzazioni del Tlc per i meno favoriti non sarebbero diverse da quelle che avrebbe portato l’Alca, l’Accordo di libero commercio per le Americhe con gli Usa, respinto nel 2005 da Chavez, Kirchner e Fidel Castro. Argentina e Venezuela si oppongono, l’Uruguay di Tabaré Vazquez nicchia. Il Paraguay invece è ansioso di ricevere i «benefici» delle grandi multinazionali della Soya.

«In Bolivia, il libero commercio non ha funzionato», ha detto il presidente Evo Morales. E la relazione finale del suo omologo ecuadoriano Rafael Correa, a cui tocca la presidenza di turno della Celac, ha indicato un’altra rotta per un’America latina che è «una Patria Grande, unita, degna, indipendente e libera, e zona di pace». Nel continente, «le risorse non mancano, la povertà è dovuta all’accumulo di capitale nelle mani di pochi». Anche nell’Ecuador della «revolucion ciudadana», il 10% delle famiglie «detiene oltre il 90% della ricchezza», e per questo le destre reagiscono con violenza alla possibilità che si approvi una legge sulla rendita (La Ley Herencia). A Quito, vi sono stati scontri e feriti.

La Celac ha lavorato a cinque punti «per superare la povertà, difendere l’ambiente e la sovranità delle nazioni e combattere la grande speculazione internazionale». A nome del blocco regionale, Correa ha espresso solidarietà all’Argentina nella sua lotta contro i fondi avvoltoio e nella battaglia per riavere le Malvinas. Ha chiesto la fine del «blocco economico contro Cuba e la restituzione di Guantanamo». Ha appoggiato il processo di pace in Colombia (per il quale sono stati stanziati fondi specifici). E ha denunciato nuovamente il «ridicolo» decreto contro il Venezuela, definito da Obama «una minaccia inusuale e straordinariacontro la sicurezza nazionale degli Stati uniti». Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha invece sostenuto i ripetuti viaggi dell’ex presidente Felipe Gonzalez in Venezuela per manifestare contro il governo Maduro. «Ma come fa a stare nell’Internazionale socialista e ad appoggiare la destra golpista?» ha chiesto il vicepresidente venezuelano Jorge Arreaza che ieri a Bruxelles ha incontrato i movimenti sociali presenti