Sembra che il mondo abbia appena scoperto, con stupore, che affidare ricerca, sviluppo e produzione di strumenti essenziali per la salute pubblica ad aziende private sia rischioso. Infatti, nonostante gli accordi miliardari con grandi giganti farmaceutici e piccole compagnie biotecnologiche, l’Ue rischia di trovarsi senza dosi di vaccino da distribuire ai suoi cittadini. Sia il vaccino prodotto da Pfizer e BioNtech, che quello sviluppato da AstraZeneca in collaborazione con l’università di Oxford sono in ritardo.

A scatenare l’ira di Bruxelles è stata la mancata chiarezza del piano di consegne di AstraZeneca, affiancate dalle dichiarazioni del CEO, Pascal Seriat, che ha negato alcun obbligo di consegna verso l’UE. Inoltre il vaccino anglo svedese aveva già subito sostanziosi ritardi che avevano fatto slittare l’approvazione dell’EMA (prevista per fine gennaio). Il clima di tensione è salito rapidamente già che anche la nordamericana Pfizer aveva da poco rivelato lo slittamento di un terzo delle dosi pattuite, facendo così saltare i piani vaccinali di molti paesi (tra cui l’Italia che si era prefissata di vaccinare il 70% della popolazione entro Settembre 2021).

Questo cortocircuito ha reso evidente i meccanismi dell’attuale modello di ricerca e sviluppo di scienza e tecnologia, orientato più a guadagni e profitti privati che alla salvaguardia della salute pubblica e collettiva. A dimostrazione di ciò, le ragioni del ritardo di Pfizer e BioNtech. L’Ue infatti aveva negoziato un accordo apparentemente vantaggioso con l’azienda, che le assicurava di pagare 10 dollari in meno per dose rispetto al prezzo pagato dagli USA, e 15 in meno da quello di Israele. Il risultato è stato che appena la domanda ha superato la capacità produttiva, le dosi destinate all’Europa sono state indirizzate a chi ha pagato di più. Dopo le minacce di procedere per vie legali un accordo storico ha visto Sanofi entrare in soccorso di Pfizer e BioNtech, mettendo a disposizione i propri impianti produttivi per permettergli di fornire all’ UE 125 milioni di dosi del vaccino entro l’estate.

Vale la pena a questo punto ricordare le dichiarazioni fatte dal CEO di Sanofi a maggio 2020, che con parole non meno imbarazzanti di quelle di Seriat, aveva affermato che gli Usa avrebbero avuto diritto a più dosi del vaccino in sviluppo, in quanto avevano investito una somma maggiore. C’è davvero da stupirsi che un’ azienda privata si preoccupi più dei guadagni dei propri azionisti che del piano vaccinale di un paese?

La corsa al vaccino, paragonata alla corsa allo spazio durante la Guerra Fredda, ha visto le maggiori potenze mondiali lanciarsi nella competizione per prestigio nazionale, guadagni politici e rivendicazioni di ideologie concorrenti. Quando sono stati approvati i primi due vaccini dall’azienda tedesca BioNtech in collaborazione con il gigante nord-americano Pfizer, e quello della compagnia biotecnologica nord-americana Moderna, in molti hanno incoronato vincitore il modello di ricerca delle democrazie occidentali, che avrebbe permesso lo sviluppo di biotecnologie sofisticate. Infatti, entrambi questi vaccini utilizzano la tecnologia mRNA, una delle più sofisticate biotecnologie in circolazione, ma che è estremamente costosa, difficile da produrre e distribuire (ha bisogno di essere mantenuta ad almeno -70 gradi).

Sorge quindi spontaneo chiedersi quali siano i parametri per assegnare il podio. Vite umane salvate? Avanzamento tecnologico? Guadagni economici? È ancora presto per decretare quale vaccino contro il Covid-19 salverà più vite, e, poiché ne serviranno molti per soddisfare la domanda globale, ci auguriamo che più vaccini possibili siano presto approvati e distribuiti. Ma considerando che i vaccini a mRNA non sono tecnologie che possono essere distribuite globalmente, questi non permettono sicuramente di raggiungere una distribuzione equa, non permettendo di massimizzarne l’impatto immediato e a lungo termine sulla salute pubblica.

Questo tipo di biotecnologie mancheranno pure a Russia e Cina, come scriveva il direttore di Repubblica in un editoriale a dicembre 2020, ma bisogna riconoscere che il vaccino russo adesso è una potenziale salvezza per l’Europa, e che il vaccino Cubano, che sta per entrare nella terza fase di sperimentazione, sarà il siero che aiuterà molti paesi in via di sviluppo, in quanto ha costi di produzione inferiori, idoneità per persone con sistema immunitario compromesso, stabilità termica ed elevata produzione scalabile.

Il caso della partecipazione dello stato italiano nel vaccino Reithera potrebbe aiutarci a trasformare in politica una domanda che da troppo tempo rimane sospesa: quale strategia pubblica per il sapere? Come si fa a non affrontare il nodo della produzione, distribuzione, e della ricerca, come volano per rendere la scienza trasparente, condivisa e, soprattutto, negoziabile?

* Ricercatrice Antropologia Medica presso l’Università di Amsterdam