Visioni

Udin&jazz, la musica come metafora di mondi possibili

Udin&jazz, la musica come metafora di mondi possibiliRosa Brunello – Luca A. d'Agostino/Phocus Agency

Dal vivo Il festival ritorna nel capoluogo friulano con il contrabbasso tribale di Rosa Brunello, la miscela di sonorità di C’Mon Tigre, il coraggio di Vijay Iyer, Linda May Han Oh e Tyshawn Sorey

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 16 luglio 2022

Dopo l’esilio volontario nella balneare Grado in polemica con la giunta nero-verde, il Festival Udin&Jazz ritorna nel capoluogo friulano, sua sede storica dal 1991. Come da tradizione un programma nutrito e vario di concerti, proiezioni, incontri e mostre. Tra Al Di Meola, Ivan Lins e gli Snarky Puppy, più una corposa presenza di jazzisti italiani, il programma punta a soddisfare un ventaglio il più ampio possibile di gusti. Qui ci limiteremo a scrivere dei tre concerti ai quali abbiamo assistito e che comunque riteniamo significativi dello stato del jazz contemporaneo.

IL PRIMO è quello che ha visto la contrabbassista Rosa Brunello presentare il suo nuovo disco Sounds like Freedom (Domanda Music) con la trombettista arabo-britannica Yazz Ahmed, il chitarrista e tastierista egiziano Maurice Louca e il batterista Marco Frattini; un jazz a trazione femminile, cosmopolita, che guarda al Mediterraneo. Il set di Frattini è la immagine plastica della musica del gruppo: una batteria jazz, una batteria elettronica e diversi tamburi etnici. I brani, tutti originali e a firma collettiva, fluiscono su ritmiche ipnotiche e melismi; una musica che cerca, e trova, la dimensione estatica. Quando Rosa Brunello imbraccia il basso elettrico si svolta verso una dimensione tecno-tribale mentre con il contrabbasso si accendono movenze danzanti africaniste. È un jazz collettivo, secondo una tendenza assai diffusa tra i giovani jazzisti, che enfatizza l’elemento ritualistico rispetto al virtuosismo individuale.
Frattini è sul palco anche il giorno successivo con C’Mon Tigre, progetto artistico che coinvolge musicisti e artisti visuali con esiti di grande raffinatezza in dischi e video. Oltre al duo fondatore (voci, chitarre ed elettronica) sul palco alcuni tra i più interessanti jazzisti italiani: il vibrafonista Pasquale Mirra, il trombettista Mirko Cisilino e il sassofonista Beppe Scardino. Anche per loro la presentazione dell’ultimo lavoro discografico: Scenario (Intersuoni). Accanto al carattere marcatamente multidisciplinare del loro agire artistico è rilevante la scelta di creare una miscela di suoni che travalica e assorbe al tempo stesso generi e stili dall’art-rock alla club culture, dal jazz alle musiche del mondo. La musica però senza il contenuto visivo, in questo caso si tratta di un album fotografico venduto insieme al vinile, sul palco perde molto della sua efficacia.

ANCHE il trio del pianista statunitense di origine indiane Vijay Iyer ha una composizione che esemplifica la natura globale del jazz contemporaneo: con lui la contrabbassista malese Linda May Han Oh e il batterista afroamericano Tyshawn Sorey. Un trio di altissimo livello creativo, tra i migliori esempi di un jazz moderno e coraggioso. Musicisti con una preparazione strumentale impeccabile a cui si associano svariati interessi intellettuali. Hanno presentato l’ultimo gioiello Uneasy (ECM) dove rigore, concentrazione ed eleganza sono innervati da riflessioni e prese di posizione politiche sull’attualità di razzismo ed emergenza ambientale. Un trio che somma enfasi innodica e cantabilità ad una energia quasi rabbiosa, in miracoloso equilibrio tra pianismo trionfante e ombrosità. Un concerto che è una meraviglia di arguzie e sottigliezze, memore della tradizione e avventurosamente proteso ad innalzare intricate costruzioni sonore che risultano limpide e dirette. La complessità e la diversità come ricchezza e non come barriera. In fin dei conti una metafora di un mondo possibile.

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