Si deve ancora scommettere sull’Ucraina? È la domanda che circola con ricorrenza in questi giorni nelle cancellerie occidentali. Questa settimana con un rapido mini-tour europeo Volodymir Zelensky ha voluto presentarsi a suoi creditori e alleati. Prima di tutto è volato a Berlino a far conoscenza con Angela Merkel. La premier tedesca ha garantito il pieno sostegno della Germania alla rivendicazioni territoriali ucraine ma ha misurato la sua distanza con il neo-eletto presidente sia sulla vicenda della pipeline che porterà nuova linfa energetica russa al suo paese attraverso il Baltico, sia sulla necessità di tenere aperto un dialogo costruttivo con Putin.

Il presidente ucraino, incontrando le associazioni imprenditoriali tedesche ha giurato che il suo paese non è interessato al default controllato o alla bancarotta. Zelensky ha anzi affermato che sin da oggi è pronto a preparare un programma di cooperazione con il Fmi e la Bers. Il vicepresidente dell’amministrazione presidenziale, Alexey Goncharuk, in un’intervista a NV. Business, ha sostenuto che «l’Ucraina sta lavorando alla preparazione del lancio alla fine del 2019 di un programma di cooperazione di 3-4 anni con il Fondo monetario internazionale».

L’attuale programma di cooperazione tra Ucraina e Fmi nell’ambito del meccanismo di stand-by è stato approvato il 19 dicembre 2018. L’ammontare del programma di 14 mesi equivale a 3,9 miliardi di dollari. L’Ucraina è in attesa di ricevere una prima tranche di circa 1,4 miliardi di dollari ma a Washington non si fidano di Kiev, dopo aver gettato al vento ben 11 miliardi di prestiti negli ultimi 5 anni senza aver ottenuto nessuna “riforma”. Perché alle riforme del sistema giudiziario e doganale ucraino in chiave anti-corruzione non crede nessuno dopo essere state sbandierate per anni, e le «lacrime e sangue» alla fine non ci sono mai state. Zenelsky ha promesso che taglierà subito i dipendenti della pubblica amministrazione del 50% ma in tempi di campagna elettorale nessuno ministro si prenderà l’onere di diventare il parafulmine di inevitabili proteste di piazza.

Così la missione del Fmi che era giunta a Kiev il 21 giugno è rientrata subito negli Usa: nessuno ha intenzione di sganciare altri denari senza avere in cambio qualcosa di più delle promesse. «Attenderemo le elezioni di luglio e la formazione del nuovo governo prima di stanziare la quota indicata» è stato il mesto commento del capo delegazione del Fmi Ron van Rooden.

Anche perché nell’entourage di Zelensky qualcuno che pensa al default controllato c’è. Si tratta del businessman e socio in affari con il presidente, Igor Kolomoisky. In una intervista al Financial Times il tycoon del Tridente ha sostenuto che l’Ucraina dovrà rifiutarsi di pagare il debito «se non vuole fare la fine della Grecia al guinzaglio del Fmi». Secondo Kolomoisky «la vittoria di Zelensky alle elezioni ha dimostrato che gli ucraini non vogliono le riforme economiche richieste dal Fondo». Se il nuovo presidente continua ad «ascoltare l’occidente alla fine diventerà come Poroshenko con il 10-15% dei consensi e non il 73%».

Senza timore di irritare i vertici della politica mondiale, come il bimbo della novella di Andersen I vestiti nuovi dell’imperatore, Kolomoisky ha gettato in faccia ai lettori la cruda verità: «Il gioco è tutto geopolitico. Si è usata l’Ucraina per far male alla Russia ma in realtà a nessuno interessa del nostro paese. Gli Usa e la Ue dovrebbero cancellarci il debito come contropartita per le sofferenze che abbiamo subito per colpire la Russia al posto loro» ha concluso l’uomo d’affari.