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Ucraina, una grande «lezione di giornalismo»

Ucraina, una grande «lezione di giornalismo»Babchenko, falsa lapide – AFP

È una grande «lezione di giornalismo» quella che ci arriva da Kiev. Il reporter russo Arkadij Babchenko, dato per assassinato dai servizi russi, è riapparso vivo e vegeto in una […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 1 giugno 2018

È una grande «lezione di giornalismo» quella che ci arriva da Kiev.

Il reporter russo Arkadij Babchenko, dato per assassinato dai servizi russi, è riapparso vivo e vegeto in una conferenza stampa dei servizi segreti ucraini: «È stata una messa in scena per proteggerlo da un attentato», con tanto di arresto del reo-confesso attentatore e prove «inoppugnabili».

Come una pistola Makharov che più russa non si può e l’annuncio di avere trovato tre proiettili dello stesso tipo di quelli usati per gli omicidi dell’oppositore politico russo Nemtzov e della Politkovskaja, la giornalista che testimoniava la strage in Cecenia – parte della Federazione russa – durante l’intervento militare di Mosca.

Omicidi questi, invece, spaventosamente veri.

Con Babchenko morto è subito partita una guerra diplomatica lanciata dal presidente ucraino, il cioccolataio Poroshenko e delle cancellerie europeo-atlantiche contro l’immancabile nemico ritrovato, la Russia di Vladimir Putin, per questo imbroglio mediatico che ha ingannato perfino la moglie che aveva ritrovato il corpo del resuscitato in un lago di finto sangue.

Proprio mentre si sta sgonfiando il caso Skripal, che è bene ricordarlo ha schierato tutto l’Occidente con dure sanzioni contro la Russia.

Ora, dopo l’«omicidio» Babchenko, in tanti si chiedono se il caso Skripal non sia anch’esso un’invenzione di sana pianta.

Eppure, la deduzione mainstream della stampa occidentale sull’affaire Babchenko sembra essere la stessa usata dal capo della polizia e dai servizi segreti ucraini che, come tutti sanno, grondano verità: è stata una beffa a Mosca per salvare Babchenko.

Insomma le autorità di Kiev avrebbero costruito un falso attentato – ma utilizzando prove che dovremmo invece considerare «vere» – per difendere la libertà di stampa e la vita del «collega».

Stanno davvero così le cose?

La domanda è legittima per tre ordini di motivi: la comprensibilmente infastidita reazione degli organismi internazionali che difendono i giornalisti nel mondo; il lugubre e realissimo scenario dei reporter morti ammazzati davvero; la non verifica della fonte, vale a dire il regime ucraino, l’estasi dell’arbitrio.

Per Reporters sans frontières che ha parlato per bocca del suo segretario Christophe Deloire, si tratta di un fatto «desolante» che «non aiuta la libertà di stampa. Perché basta una simulazione simile per gettare un’ombra su tutti gli affaire legati agli assassini politici», è stata «una menzogna di Stato».

Altri organismi, indignati dal teatrino, avvertono del rischio al lupo al lupo; insomma la prossima volta sarà davvero difficile credere a Babchenko e perfino alla malaugurata notizia della sua morte vera.

Mentre di assassinii concreti di giornalisti reali è pieno il mondo; dal Messico dove sono decine già dall’inizio dell’anno, alla europeissima Slovacchia, dalla vicina Malta, al tiro al piccione israeliano a Gaza che prende di mira proprio i reporter palestinesi, alle sparizioni in Egitto, alle carceri in Turchia ecc.

Ma il fatto più vergognoso è la non verifica delle fonti della notizia.

Perché in realtà i governi ucraini che dalla rivolta di Majdan si sono susseguiti fino ad oggi, si sono caratterizzati solo per le loro menzogne, spesso accompagnate dai fragorosi assensi dell’Europa e degli Usa, entrambi impegnati a sognare la riedizione di un improbabile nuovo ’89.

Ricordiamo alcuni misfatti, menzogne e silenzi: da chi ha veramente ucciso le 70 vittime di piazza Majdan durante i moti sostenuti da tutto l’Occidente, con il capo della Cia John Brennan in piazza a Kiev, e che invece secondo rapporti internazionali indipendenti risultano ormai colpiti da cecchini «rivoltosi» abilmente disseminati nella piazza; alla strage di Odessa dove più di 40 persone dell’opposizione sono state arse vive nell’incendio della Casa dei sindacati assaltata dai neonazisti ormai inseriti nei gangli dello Stato.

L’Ue ha preteso a parole la verità per garantire l’ingresso di Kiev nell’Unione, poi ha taciuto.

È la Nato che intanto ha aperto le sue porte.

Qual è il nodo non sciolto: proprio il silenzio complice di Kiev in questi anni sull’assassinio di tanti giornalisti o invisi al nuovo potere, oppure testimoni dei misfatti delle milizie d’estrema destra inquadrate nei battaglioni dell’esercito che combatte nel Donbass la rivolta degli ucraini filo-russi: sono almeno 12 i giornalisti assassinati in Ucraina dal 2014 (li abbiamo contati grazie al nostro Yurii Colombo da Mosca).

E si rifletta sul fatto che in questi giorni l’estrema destra ucraina assedia con proteste l’ambasciata italiana per reclamare la liberazione dell’«eroe», vale a dire il militare del battaglione Azov in galera in Italia per avere ucciso deliberatamente il fotoreporter italiano Rocchelli impegnato a testimoniare il dramma della guerra civile in Donbass.

Insomma, ricordando che il mestiere di giornalista spesso è «scambiato» per quello di altre due professioni, la spia e l’archeologo (per via della frequentazione del Medio Oriente e dell’Asia), visto che il redivivo di Kiev non ci pare proprio uno scavatore di città sepolte, di chi è davvero collega questo Babchenko?

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