«Gli Stati uniti hanno abbandonato l’Ucraina», titolava alcuni giorni fa un editoriale del Washington Post, a sottolineare come i sospetti di Poroshenko e di Kiev siano credibili. In una paio di telefonate Donald Trump ha confermato la volontà di rimanere fedele al suo auspicio di trovare un accordo, anche sulla situazione ucraina, con il suo amico Putin. L’argomento della «guerra congelata» in Ucraina, con la Crimea annessa via referendum a Mosca e con il Donbass in un limbo giuridico e istituzionale, è tornato di attualità sia per la ripresa di scontri militare tra la regione che si è dichiarata autonoma e l’esercito di Kiev, sia perché inserita nell’ordine del giorno del meeting di ieri a Bruxelles da parte dei ministri degli esteri dell’Unione europea.

LA VICENDA UCRAINA è stata al centro dell’incontro a Bruxelles, benché a tenere banco sia stato soprattutto l’atteggiamento della nuova amministrazione americana rispetto a Kiev. L’Ucraina – come sottolineato anche dalla stampa americana – si sente abbandonata dal suo alleato migliore, gli Stati uniti. Trump ha parlato al telefono con Poroshenko, il presidente ucraino, specificando di voler risolvere la crisi insieme a Kiev e Mosca, ma poco dopo al telefono con il segretario della Nato ha liquidato la crisi in Ucraina come un conflitto «lungo il confine ucraino», esattamente quanto sostiene Mosca quando afferma che la questione ucraina è un conflitto interno al paese.
Sgomento a Kiev, mentre a Bruxelles si è provveduto alla consueta trafila di proclami e buone intenzioni. Da Mogherini ad Alfano, passando per il ministro degli esteri britannico Johnson, si è ribadita la necessità delle sanzioni alla Russia, insieme alla volontà di procedere a una soluzione definitiva del motivo dello scontro: la Crimea e il Donbass.

UNICA VOCE FUORI DAL CORO è quella dell’Ungheria di Orbán: «Il regime di sanzioni contro la Russia ha fallito i suoi obiettivi, politicamente ed economicamente», ha detto il ministro ungherese.

«La Ue ha dato una risposta sbagliata e così facendo ha provocato danni economici alla Ue a agli stati membri». Secondo Budapest «le sanzioni avrebbero dovuto provocare un cambiamento di atteggiamento da parte della Russia e favorire la messa in atto degli accordi di Minsk ma, come vediamo, non hanno portato risultati».

L’Ue continuerà a non riconoscere «l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia», ha specificato l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, che ha aggiunto, a nome di Bruxelles, di voler contribuire a risolvere anche la difficile situazione economica in cui versa il paese. Nonostante Trump, dunque, l’Ue tira dritto nel suo sostegno a Poroshenko. Il problema per Kiev, però, al momento è duplice: da un lato la mancanza dell’appoggio americano, svanito dopo mesi di grande vicinanza da parte dell’amministrazione Obama (Biden ha visitato sei volte il paese), dall’altro ci sono dei problemi politici interni non da poco.

A POROSHENKO SI CHIEDE un piano per il ritorno del Donbass e della Crimea sotto il pieno controllo di Kiev. È quanto ha sostenuto Maksim Bourbaki, presidente della fazione parlamentare del «Fronte Popolare», il partito dell’ex-primo ministro dell’Ucraina, Arsenij Yatsenjuk (l’uomo americano nelle intenzioni dell’allora segretaria di Stato Clinton e della sua inviata a Kiev Victoria Nuland, per un certo periodo data anche nell’orbita delle potenziale scelte del neo presidente americano Trump).
A quel punto, secondo Bourbaki, la Rada (il parlamento unicamerale del paese) sarà pronto a sostenerlo. Ci sono diversi problemi però: oltre alla Crimea, c’è il Donbass, dove si spara ancora. Gli accordi di Minsk, di fatto, hanno sancito un precario cessate il fuoco ma non hanno risolto la questione. «Poroshenko deve fare un discorso onesto. Dal momento che le persone portano il peso della guerra, hanno il diritto di sapere. E il governo è tenuto a informare della strategia di liberazione della Crimea e del Donbass», ha dichiarato Bourbaki in una riunione con i leader delle fazioni parlamentari.