Chi sono i ribelli dell’est ucraino? Per Kiev sono terroristi secessionisti manovrati da Mosca, per i media russi forze di autodifesa che resistono ai golpisti della Majdan. Definizioni schematiche di un universo ben più articolato. In linea con lo scenario ucraino nel suo complesso.

La destra dell’est
In attesa di capire se il piano di pace di Poroshenko non è un foglio di carta, si può partire da destra. L’insurrezione a Donetsk, come nella vicina Lugansk, registra la presenza di personaggi riconducibili all’estremismo russo e russo-ucraino.

Uno è Pavel Gubarev. Trentunenne, imprenditore, ha una storia di militanza in Unità nazionale russa, formazione con venature xenofobe. È stato lui, a marzo, in concomitanza con lo scoppio della crisi di Crimea, a guidare la presa dei palazzi, fregiandosi poi della carica di governatore della Repubblica di Donetsk. Arrestato, è stato rilasciato a maggio. In quei giorni sono state attive altre sigle radicali, tra cui l’Unione eurasiatica della gioventù, braccio giovanile di Eurasia, movimento presieduto dall’accademico russo Aleksandr Dugin, uomo dal provato pensiero radicale.

Da poco ha invitato a parlare alla Lomonosov, l’università moscovita dove insegna, Gabor Vona. È il numero uno di Jobbik, la destra ungherese più becera. Sempre a proposito di destre internazionali s’è venuto a sapere che i polacchi di Falanga e gli italiani di Millennium hanno inviato loro rappresentanti a Donetsk. Il che rivela che la famiglia nera europea s’è schierata dall’una e dall’altra parte della barricata ucraina. Non soltanto a Kiev, con Pravyi Sektor e le altre bande della Majdan. Nell’est ucraino un’altra personalità che si colloca a destra è Alexander Borodai, un russo, il capo del governo della Repubblica di Donetsk. A Mosca Borodai ha la fama di uno dei più noti interpreti dell’ultranazionalismo e commenta spesso sulla rivista Zavtra, cassa di risonanza di questi ambienti, che ha recentemente pubblicato una sorta di manifesto della Nuova Russia.

È il nome di quella che dovrebbe essere un’entità statuale composta dalle aree di Donetsk e Lugansk, possibilmente allargata alla Transnistria e a Odessa. Il discorso sulla Nuova Russia allarga il campo dell’analisi, svincolandola dal solo tema, limitante, della collocazione politica. In ballo ci sono sentimenti, persone in carne e ossa. Alcune delle quali percepiscono il rapporto tra Ucraina e Russia come una cosa intima. Ci si arruola nelle milizie filorusse anche in nome di quest’idea, che trova ampi riscontri nella storia, nella cultura e nella letteratura. Sulla Majdan è accaduta grosso modo la stessa cosa.

La rivolta ha avuto una sua importante pulsione storica e culturale, identificabile nel pensiero nazionale-nazionalista ucraino, forgiato nell’ovest del paese e proteso a separare la vicenda biografica ucraina da quella russa.

Nell’insurrezione dell’est influiscono, restando sul piano della storia, anche i retaggi della seconda guerra mondiale. In questo senso la Maidan e la sua componente ultranazionalista ha assunto il sapore di una replica a scoppio ritardato delle attività dispiegate nell’Ucraina occidentale dai miliziani di Stepan Bandera, fautori di uno stato ucraino etnico. Contrassero un’alleanza tattica con Hitler in funzione antisovietica e antipolacca. Oggi la figura di Bandera spacca il paese. I circoli nazionalisti lo elevano al rango di eroe. L’est, sensibile alla Russia e alla tradizione della grande guerra patriottica, lo bolla come un nazista.

L’elemento banditesco
Nel guazzabuglio di Donetsk non manca un fattore banditesco. Ci sono personaggi senza scrupoli che si sono buttati nella mischia perché c’è da guadagnare. Si sta cercando di fare pulizia. Significativo l’episodio di fine maggio, quando il battaglione Vostok, impegnato in prima linea e composto da russi, ucraini e ceceni, ha fatto irruzione nel quartier generale della repubblica di Donetsk con l’obiettivo di liquidare elementi anarchici. Recentemente è invece arrivata la notizia della deposizione di Vyacheslav Ponomarev, sindaco di Sloviansk. Igor Strelkov, il capo della difesa di Donetsk, altro russo al potere delle strutture dell’est ucraino, ha spiegato che la decisione è dovuta a incompatibilità con i compiti dell’amministrazione civile.

Diversi analisti hanno intravisto in questa vicenda una riprova della volontà di epurare le frange ingestibili della ribellione. Foreign Policy suggerisce tra le righe anche un’altra lettura, fondata sull’idea che l’est è un serbatoio di anarchia dove i gruppi più equipaggiati stanno progressivamente prendendo il sopravvento. È il caso del battaglione Vostok, ma anche dell’Esercito ortodosso russo e di Oplot, movimento sorto a Kharkhiv.

Armi e soldi
In molti si chiedono se e fino a che punto la Russia controlla i ribelli. Non esistono risposte chiare. Qualche indizio porta a pensare che il filo sia diretto. A Donetsk il potere è soprattutto nelle mani del duo Borodai-Strelkov. Entrambi sono stati attivi in Crimea, prima di spostarsi nel Donbass. In più tra le file degli insorti, riferisce chi è stato a est a seguire la guerra civile, hanno iniziato a confluire sempre più russi, con chiaro know-how militare. Ma questo non costituisce una prova inconfutabile.

Su soldi e armi, stessi dubbi. I miliziani dell’est, che comunque sia amministrano più di cento chilometri di frontiera, dicono che le armi sono state requisite dagli arsenali ucraini e che Mosca non ha erogato un rublo. Negli ambienti atlantici sono tutti convinti, invece, che la rivolta sia foraggiata dal Cremlino. Si mormora infine che i finanziamenti giungano da Yanukovich e dalla sua cricca, che negli ultimi anni ha rubato l’indicibile.