Ieri il tribunale della provincia di Odessa ha assolto i cinque militanti antifascisti accusati di aver provocato, nel 2014, i primi incidenti nelle vie della città con militanti dell’estrema destra e ultras della locale squadra di calcio, che portarono alla morte di 6 persone a seguito di colpi di arma da fuoco.

IL TRIBUNALE HA RICONOSCIUTO l’insufficienza di prove nei confronti dei cinque come chiedeva la difesa rigettando la richiesta dell’accusa di condannare gli imputati a 9 e18 anni di reclusione. Tuttavia, due degli imputati, restaranno in prigione perché accusati di altri reati legati alla resistenza «antimaidan» di quelle settimane. Si conclude dunque con un nulla di fatto il primo processo per i tragici avvenimenti del 2 maggio 2014 a Odessa che portarono alla morte di 48 persone (il più giovane un ragazzo di 17 anni membro della gioventù comunista ucraina).

Il contesto in cui si consumò la strage fu la rivolta che esplose in po’ tutte le grandi città ucraine contro l’ascesa al potere, dopo l’insurrezione di Piazza Maidan, del nazionalismo antirusso e neofascista. Successivamente agli scontri tra anti fascisti e neonazisti, in quel drammatico pomeriggio, la tragedia si trasformò in strage quando gli attivisti «antimaidan» furono costretti, per gli attacchi congiunti dei neofascisti e delle forze dell’ordine, ad asserragliarsi nella locale sede dei sindacati.

NEL PALAZZO, a seguito di un nutrito lancio di bottiglie molotov da parte dei militanti di destra, scoppiò un incendio e 26 dimostranti antifascisti rimasero uccisi per le ustioni subite mentre altri 10 persero la vita cercando di mettersi in salvo lanciandosi dai balconi dell’edificio. Per questo «secondo tempo» degli incidenti le procure ucraine aprirono inchieste che non hanno mai portato a ricostruire nel dettaglio cosa veramente successo nei pressi della sede sindacale. Prima le autorità ucraine cercarono di dare la colpa agli aggrediti affermando che l’incendio era stato prodotto da del cloroformio distribuito loro da agenti non identificati dei servizi di sicurezza russi. Poi, quando questa ipotesi perse completamente consistenza, anche un’ulteriore inchiesta sul presunto ritardo nell’intervento dei vigili del fuoco per domare l’incendio, fu in tutta fretta archiviata.

RESTARONO APERTE solo l’inchiesta contro gli antifascisti e quella per il ruolo avuto dalla polizia, di copertura e appoggio, all’assalto di neofascisti alla sede sindacale. Ma anche quest’ultima inchiesta fu prontamente insabbiata dalla magistratura ucraina.

Il caso contro la polizia regionale sì arenò perché il principale sospettato – l’ex vice capo della polizia di Odessa Dmitry Fuchedzhi – si rese subito irreperibile. Secondo Kiev, il ricercato si troverebbe in Transnistria, la piccola autoproclamata repubblica staccatasi dalla Moldavia, ma le autorità della regione lo hanno recisamente negano.

Il «Comitato delle madri per la verità sul 2 maggio» si è rivolta quindi al Consiglio d’Europa. La relazione del gruppo consultivo internazionale ha recentemente sostenuto «che l’indagine non ha soddisfatto i requisiti della Convenzione europea sui diritti dell’uomo». Nel documento si afferma inoltre che esistono prove del coinvolgimento della polizia nella tragedia.

Il Consiglio D’Europa ritiene che «solo per le carenze e la scarsa uniformità nelle indagini non sia stato possibile identificare i responsabili». Una nota di preoccupazione per la mancanza di progressi nelle indagini è stata anche espressa dalla missione di monitoraggio dell’Onu per i diritti dell’uomo.

LE «MADRI DEL 2 MAGGIO» pur dichiarandosi soddisfatte per l’assoluzione di ieri degli antifascisti, ora temono però che l’inchiesta sui fatti della sede dei sindacati venga definitivamente archiviata.

Intanto i gruppi neofascisti continuano a scorrazzare indisturbati in tutta l’Ucraina. Ieri a Leopoli un folto gruppo di aderenti a Pravy Sektor e di soldati battaglione Azov hanno occupato con la forza la sala dove si teneva la presentazione di un libro sulla sinistra in Europa finanziato dalla Fondazione Rosa Luxemburg tedesca, accusando gli organizzatori di «essere al servizio di Soros e delle lobby ebraiche».