Come se la situazione non fosse già abbastanza tragica, confusa e apparentemente senza via d’uscita, ieri nella guerra ucraina si è aperto un nuovo fronte. Sulle sponde del mar d’Azov, nei pressi di Mariupol, a sud di Lugansk e Donetsk, città da settimane al centro dell’offensiva dell’esercito nazionale di Kiev, i ribelli hanno organizzato una contro offensiva, in direzione delle truppe regolari di Kiev.

Si tratta di un’azione che apre un nuovo fronte, più meridionale e soprattutto ancora più vicino alla frontiera russa. Non a caso, secondo Kiev, i militari impegnati contro i propri soldati sarebbero russi. Il consiglio di sicurezza e i responsabili dell’azione «antiterrorismo» di Kiev, hanno infatti segnalato scontri tra tank provenienti dalla Russia e guardie di frontiera ucraine.

Ipotesi smentita dai ribelli di Donetsk e da Mosca stessa. Secondo i filorussi i tank sarebbero stati «trasferiti da Telmanovo» (a sud di Donetsk). Lo ha sostenuto il primo vice premier dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Andrei Purghin, citato dalle agenzie russe, precisando che i miliziani «stanno cercando di accerchiare alcuni reparti della Guardia nazionale nella zona di Novoazovsk».

Di sicuro l’evento dimostra come da un punto di vista militare, la guerra sia ancora totalmente aperta E dimostra la capacità di risposta da parte dei filorussi, in grado di aprire nuove ferite, anche nelle zone date sotto il controllo dell’esercito nazionale. Controffensiva annunciata dagli stessi ribelli dell’Ucraina orientale. Kiev da parte sua ha ammesso «un aumento dell’azione del nemico», pur sostenendo che i suoi soldati «continuano a tenere le posizioni occupate» e hanno inflitto «perdite importanti» ai filorussi (mentre sarebbero 4 i morti tra i soldati regolari).

Non che nella zona principale del conflitto le cose vadano meglio. Ieri secondo Kiev (che ha sarebbe stata colpita anche una fabbrica chimica, con un rischio ulteriore, mentre Donetsk e Lugansk continuano ad essere sotto assedio.

Prima ancora dei 500 milioni di euro promessi da Merkel – e dall’Europa – al governo uscito dalla Majdan per ricostruire la regione orientale del Donbass, Kiev appare intenzionata a non lasciare un attimo di tregua ai propri avversari, finanziando a gettito continuo il proprio esercito. Finanziamenti decisi e stabiliti da un governo il cui premier è dimissionario e con un Presidente che ha promesso nuove elezioni ad ottobre, pensando forse che in quel momento i giochi saranno conclusi.

Dopo una domenica propagandistica, ricomincia dunque una settimana di battaglia vera e propria (oltre duemila le vittime del conflitto ad oggi, da inizio aprile). Nel fine settimana infatti, alla manifestazione celebrativa dell’indipendenza di Kiev, ha fatto da contraltare l’umiliante sfilata dei prigionieri di guerra dell’esercito regolare ucraino.

Una messa in scena dei filorussi – all’interno dei quali è bene precisare, esistono anime di ogni tipo, un magma che sarebbe sbagliato etichettare come fronte «antifascista», in risposta a Kiev, a causa dell’esistenza di gruppi nazionalisti e parafascista russi – con il cordone dei prigionieri fatti sfilare per la città, tra gli insulti e le urla della popolazione.

Sono rituali di guerra, primitivi e violenti, che hanno dato sfogo, seppure in modo condannabile, ad una popolazione ridotta alla fame e all’emergenza, da una guerra di cui si è parlato troppo poco.
In Ucraina è corso un conflitto che non è solo economico e dialettico, o diplomatico. È una guerra come tutte le altre: ci sono morti civili, feriti, sfollati, città devastate e tutta quell’economia sommersa e delinquenziale tipica di questa situazioni. In pratica, a pagare sono sempre le fasce più deboli della popolazione.

E ieri, forse in preparazione della riunione in corso oggi a Minsk, Mosca ha annunciato un secondo invio di convogli con aiuti umanitari per le popolazioni dell’est ucraino colpite dalla guerra. Nel frattempo, la distribuzione degli aiuti umanitari russi giunti con gli autotreni non autorizzati, è cominciata ieri a Lugansk, con la partecipazione di rappresentanti della commissione internazionale della Croce Rossa. Lo ha detto ieri il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov in una conferenza stampa a Mosca, auspicando per il secondo invio «una collaborazione di tutte le parti».