“Gloria all’Ucraina! Gloria agli eroi!”. Lo storico slogan delle milizie fasciste di Stepan Bandera è risuonato ieri per la prima volta durante la parata militare per i 27 anni dall’indipendenza ucraina. Una decisione presa, non senza polemiche e contestazioni, dal ministero della difesa ucraino qualche settimana fa. La parola d’ordine “Gloria all’Ucraina! Gloria agli eroi!” era assurta alle cronache anche durante i recenti campionati mondiali di calcio in Russia quando il calciatore croato Domogoj Vida in segno di scherno verso il paese ospitante lo aveva ripetuto aggiungendoci anche un significativo “Belgrado bruci!”

Il presidente ucraino Petr Poroshenko poi, dal palco della parata, ha voluto aggiungere una propria nota amena al carattere ultranazionaista della giornata che ormai ha poco a che spartire con l’indipendenza ucraina dichiarata nel 1991 nei giorni del putsch della vecchia guardia stalinista contro Gorbaciov. Il presidente ucraino dal palco ufficiale ha declamato le parole dell’inno del 1932 dell’Organizzazione Nazionale Ucraina di Bandera :“Siamo nati una grande ora/Dalle fiamme della guerra e dalla fiamma delle luci/Ci feriamo per la perdita dell’Ucraina/Ci nutriamo di rabbia e rabbia contro i nemici”. Una scelta condivisa da Svoboda, storica organizzazione nazista ucraina: “Poroshenko seppur con ritardo scopre le nostre radici e la nostra storia”.

Per il resto il comizio del capo di Stato ucraino ha ripetuto gli stanchi refrain degli ultimi mesi. “Le chiavi della pace si trovano al Cremlino. Ci vengano restituiti il Donbass e la Crimea e sarà pace” ha tuonato dal palco. Poi un appello alla definitiva scissione del mondo slavo: “Abbiamo scelto il nostro percorso di sviluppo e non lo possiamo cambiare solo per ingraziare i nostri nemici esterni ed i loro agenti all’interno del paese… rompiamo tutte le catene che ci legano con l’Impero russo, l’Unione Sovietica!” ha invocato Poroshenko mentre sul vialone Kreshatik sfilavano i carri armati. Poroshenko ha sottolineato che il compito principale del governo e dell’attuale generazione è quello di “rendere l’indipendenza irreversibile trasformare l’Ucraina in una grande e forte paese senza prospettive di ritorno alla zona di influenza russa”. Una strada da perseguire anche dal punto di vista ecclesiastico, mobilitando la Chiesa ortodossa ucraina in una crociata religiosa fuori tempo massimo. “Che mi si ascolti a Costantinopoli a Mosca e in Vaticano: siamo impegnati a tagliare l’ultimo legame con quell’impero. Siamo determinati a farla finita con la parte innaturale e non canonica che rimane della nostra comunità ortodossa” ha detto il leader ucraino.

Dalla vicenda di Piazza Maidan di acqua ne è passata sotto i ponti. Le distanze tra le rive del Dnepr e della Moscova non si misurano più in miglia, ma attraverso l’abisso politico che divide i due paesi slavi. L’Ucraina da allora è uscita anche formalmente dalla Comunità degli stati Indipendenti, ha chiesto l’adesione alla NATO e qualche settimana fa ha deciso di interrompere, dopo i collegamenti aerei, anche quelli ferroviari con la Russia. L’Ucraina è anche divenuto paese associato all’Unione Europea anche se la strada per diventarne membro è praticamente chiusa: non è tra i paesi candidati all’adesione per il 2025 e difficilmente lo sarà viste le performances economiche neppure nel 2030. Anche per questo nel suo discorso Poroshenko ha si è rivolto all’Europa: “la UE non potrà essere veramente tale se i suoi confini non saranno naturalmente allargati a est”. Un appello che a Bruxelles, avranno fatto finta di non sentire.