Magari la guerra civile non scoppierà, ma a incastrare le notizie che arrivano dall’Ucraina si può legittimamente nutrire dubbi al riguardo. Anche al netto del fatto che ieri non è stato ammazzato nessuno e che, dalle parti di ulica Grushevskoho, la via di Kiev trasformata da domenica in vero e proprio campo di battaglia, non si sono registrati scontri. I duri e puri della protesta e la polizia, su richiesta di Vitali Klitschko, l’uomo più in vista dell’opposizione, hanno concordato una tregua, almeno fino al termine della tornata di colloqui, ieri sera, tra i rappresentati della stessa opposizione e il presidente Viktor Yanukovich. Nel momento in cui andiamo in stampa non se ne conosce l’esito e mentre leggerete questo articolo potrebbe essere esploso nuovamente il finimondo.

In ogni caso il clima è e resterà incandescente. Le notizie di ieri lo confermano. Sulla rete si trovano video di torture inflitte dalle forze del ministero dell’interno a dimostranti tenuti in stato di fermo. C’è chi ha sostenuto che sarebbero stati diffusi volutamente da agenti o persino ufficiali. Il che segnalerebbe una spaccatura nei reparti di sicurezza. C’è da dire tuttavia che finora Yanukovich non ha patito movimenti centrifughi. Le forze di sicurezza, quando s’è trattato di aprire il fuoco, non si sono tirate indietro. I suoi deputati, giovedì scorso, hanno approvato senza fiatare le leggi «anti-protesta», che spianano la strada all’autoritarismo. Gli oligarchi, arbitri del sistema, non lo hanno sconfessato.

Ieri a Kiev ne sono successe di altre. È stata confermata la notizia di una terza vittima, Yuriy Verbytsky, scomparso qualche giorno fa. Il suo corpo, a quanto pare pieno di segni di violenza, è stato ritrovato in un bosco alle estremità della capitale. La comunicazione di EuroMaidan – così si è autodefinita dalla prima ora la protesta – ha denunciato pestaggi nei confronti di diversi attivisti. Mentre alcune centinaia di titushki, provocatori vicini al governo, hanno assediato l’ambasciata americana, chiedendo a Washington di non immischiarsi nelle faccende interne dell’Ucraina.

Le notizie più significative arrivano dalle periferie. A Leopoli esponenti del fronte della protesta hanno fatto irruzione nella sede del governo regionale, obbligando il presidente nominato da Yanukovich, a firmare una lettera di dimissioni. Il palazzo del governo è stato occupato anche a Rivne, anch’essa situata nel versante occidentale del paese, dove i nazionalisti di Svoboda, il partito della Tymoshenko (Patria) e quello di Klitschko (Udar) hanno il grosso dei voti. Si parla di azioni simili anche a Zhytomyr e Ivano-Frankivsk, altri due centri dell’ovest.

Queste iniziative si prestano a una doppia lettura. Possono indicare che in funzione dei negoziati con Yanukovich, l’opposizione, che ha proclamato un «parlamento parallelo», cerca di conquistare posizioni di forza, dimostrando che c’è un segmento del movimento, non necessariamente legato all’estremismo di destra, che vuole meno chiacchiere e più azione.

I negoziati si stanno facendo: Klitschko, il capo dei nazionalisti di Svoboda Oleg Tyahnybok e il braccio destro della Tymoshenko, Arseniy Yatseniuk, chiedono dimissioni del governo, elezioni presidenziali anticipate e ritiro delle leggi anti-protesta. Yanukovich non vorrà cedere, ma le vittime lasciate sul terreno hanno avuto un rimbalzo mediatico negativo e il messaggio su cui ha spinto in questi giorni, vale a dire rappresentare gli estremisti di ulica Grushevskoho e la gente di piazza dell’Indipendenza come un’unica cosa, non è passato. E si dice che Yanukovich qualcosa potrebbe concederlo (si parla del ritiro della legge anti-protesta). Nel frattempo compra tempo. La sessione del parlamento in cui si dovrà discutere delle richieste dell’opposizione si terrà solo martedì. Oggi arriva a Kiev il commissario Ue all’allargamento Stefan Fuele. A stretto giro di posta potrebbe seguirlo Catherine Ashton. Tira aria di trattativa. O è il solito bluff di Yanukovich? E Mosca che dice?