Alla faccia della dietrologia, lunedì sera la Casa bianca ha annunciato la presenza a Kiev del capo della Cia John Brennan. Dunque è ufficiale: il responsabile delle guerre coperte americane in Iran, Libia e Siria, le ultime due degenerate in disastrosa guerra aperta, è operativo sulla piazza di Majdan pronto a combinare altrettanti effetti disastrosi. Ora la presenza dell’intelligence Usa nella crisi ucraina è ufficiale, ma certo è stata presente da subito nel conflitto intestino che si è innescato per almeno quattro mesi con la protesta diffusa di una parte del popolo ucraino, prima contro la corruzione, poi filo-europeo e antirusso, poi solo antirusso. Una protesta volta a volta eterodiretta e di segno sempre più cangiante e sempre più radicale, fino a diventare violenta sotto la guida organizzata dei gruppi paramilitari della forte estrema destra ucraina. E fino a far saltare l’equilibrio raggiunto a Monaco tra Usa e Russia a metà febbraio che prevedeva elezioni concordate entro l’estate, l’uscita di scena morbida dell’ex presidente Yanukovich, un nuovo assetto istituzionale del paese.
Una crisi precipitata fino al pronunciamento d’indipendenza della – di fatto – russa Crimea con pronta adesione, bene accolta, alla Russia.

Ora la crisi rasenta ancora una volta il confronto militare tra occidente atlantico e Russia, che fino a prova contraria sempre Europa è.

Eppure il nemico sovietico non c’è più da 23 anni e si fa fatica a pensare, se non come ad un vintage, ad una azione militare di Putin come fosse l’invasione dei carri armati di Praga e il ’56 ungherese. Un immaginario che torna utile ai media e all’ideologia guerrafondaia, ma non è così: a Mosca come in tutto l’est, dominano – ancorché in crisi – i valori di mercato dell’Occidente e la Nato ha inglobato tutti i paesi dell’Est tranne la Russia e non ancora completamente l’Ucraina e gli stati della Csi. In Crimea poi le truppe russe sono state accolte davvero come liberatrici. Anche le eventuali forze militari americane che raggiungessero Kiev probabilmente sarebbero accolte così, perché quella piazza più che filoeuropea è filoatlantica e filoamericana.

Così mentre da Washington, da diecimila chilometri di distanza, sicuri commentatori italiani (mentre Greenwald viene insignito del premio Pulitzer per aver scoperchiato, con Snowden, lo scandalo Datagate) ci assicurano che si è sfiorato il casus belli con un aereo russo che ha sorvolato una nave militare Usa «di tanto così» – letteralmente, come se il giornalista fosse lì a vederlo – nessuno si chiede che cosa ci stanno a fare le navi militari americane nel Mar Nero a ridosso dei confini russi se non per motivare l’esistenza di un nuovo nemico.

E la Nato per bocca dell’uscente di scena Rasmussen ammonisce Mosca a tenere le sue truppe lontano dai confini: vale a dire dice a non avere truppe russe sul territorio russo, quello più sensibile.
E questo mentre le truppe americane stazionano nei quattro punti cardinali del mondo e in Iraq, Afghanistan, sono pure impegnate in guerre sporche.
Come finirà? E’ legittimo immaginare che ci troviamo di fronte all’ennesimo risiko di dichiarazioni e mosse militari sullo scacchiere delicato dei confini tra Europa orientale e occidentale. E la telefonata di Putin a Obama è lì a testimoniarlo.

Il leader russo assicura che non ha interesse a fomentare le rivolte nell’est ucraino per fare come con la Crimea, spinge solo sulla federalizzazione del paese e sulla sua neutralità dalla Nato. La cui strategia di allargamento a est è all’origine della crisi con la Russia, non il contrario.
Intanto continuano le rivolte violente e spesso di massa nell’Ucraina orientale, delle quali si rimane stupiti come fosse l’orrore tout court. Dimenticando, smemorati, di quanto sia stata molcita, applaudita, apprezzata, decantata in Europa e negli Usa la rivolta degli «eroi» (come li apostrofò, ancora dal carcere, la «principessa del gas» Iulia Tymoshenko) anche armati di piazza Majdan mentre ancora si tace sulle reali responsabilità del lavoro dei cecchini su quella piazza.

Ma è difficile immaginare che finirà come per la Crimea: i russi nelle regioni dell’est sono assai inferiori di numero che non in Crimea, e radicalizzare lo scontro vorrebbe dire rieditare la sanguinosa guerra interetnica dei Balcani negli anni Novanta. Prodromo di una deflagrazione ancora maggiore e dagli esiti a dir poco incerti.

Né Putin né Obama possono volerlo e infatti trattano. Ma dov’è l’Unione europea? Non esiste, non ha ruolo alcuno. È all’origine della crisi con il suo improbabile allargamento che si riduce all’associazione, ma tace. Al posto della diplomazia di Bruxelles parla la Nato. Ecco l’altro limite dell’Europa reale: non solo è una moneta che affama buona metà del vecchio Continente, ma è in politica estera solo un patto militare, l’Alleanza atlantica. Gli interessi strategici di politica estera, per le fonti di energia e sulla sicurezza, sono nelle mani di un altrove che non è la sede delle istituzioni comunitarie. Fino a quando?