Non si riferiva certo alla disciplina e allo spirito combattivo Vladimir Putin, quando ha definito l’esercito ucraino «Legione straniera della Nato». Il riferimento era – casomai – ai metodi di guerra terroristica e alla composizione dei battaglioni che affiancano le truppe regolari. Sempre più spesso le milizie, allorché occupano una posizione prima controllata dai governativi, trovano indumenti, oggetti personali e armi di fabbricazione straniera, appartenenti a mercenari di ogni parte d’Europa, arruolati nei battaglioni neonazisti. Dopo il bombardamento di Mariupol di sabato scorso, è comparso in rete un video in cui, nelle strade della città, soldati dell’esercito ucraino rispondevano in inglese ad alcuni passanti.

Quanto poca sia la volontà degli ucraini di andare nel Donbass a sparare contro propri connazionali è testimoniato dai casi sempre più frequenti di uomini in età di richiamo alle armi che, in ogni maniera, cercano di sottrarsi. Tanto che, mentre il consigliere presidenziale ucraino Birjukov ha definito i cittadini delle regioni occidentali «botoli codardi», Kiev ha iniziato a ricorrere ai «reparti di sbarramento»: plotoni che, alle spalle dei militari, armi alla mano, bloccano loro la strada della ritirata o della diserzione.

E, in ogni caso, il morale delle truppe non deve essere dei più alti se il cosiddetto Cyberberkut ucraino ha ordinato ai comandi di non diffondere cifre sulle perdite, tra le quali si contano anche i 10mila soldati accerchiati nel saliente di Debaltsevo e che cadranno prigionieri delle milizie. In generale, che la mobilitazione lanciata da Kiev in gennaio non vada secondo le attese, lo dimostrano le centinaia di uomini che rifiutano di presentarsi alle commissioni di leva e gli interi consigli comunali che si oppongono al richiamo alle armi. Molti si rifugiano in Russia; dalle regioni occidentali si fugge verso Moldavia, Ungheria, Romania, Slovacchia. Un provvedimento adottato ieri dal Servizio federale di immigrazione russo concede ai cittadini ucraini in età di mobilitazione – sarebbero 1,2 milioni, su un totale doppio di profughi – di rimanere in Russia oltre i 90 giorni previsti normalmente.

Tutto ciò, non impedisce a Kiev di continuare nella guerra terroristica contro la popolazione civile: sembra proprio che l’azione delle artiglierie governative contro i centri abitati sia inversamente proporzionale agli insuccessi al fronte. Nelle ultime 24 ore, si sono contati almeno 20 morti e 123 feriti tra la popolazione di varie città delle regioni di Donetsk e Lugansk; il numero più alto di morti, 13, a Stakhanov, per i bombardamenti governativi.

Sul fronte diplomatico, mentre si attende un nuovo incontro delle parti in conflitto – ma, come siederanno al tavolo delle trattative, dopo che la Rada ha dichiarato ieri l’altro la Russia «Stato aggressore» e le Repubbliche del sudest «organizzazioni terroristiche»? – Usa e Ue si esprimono oggi per l’estensione delle sanzioni a ulteriori persone fisiche e giuridiche russe. La motivazione si basa sul bombardamento di Mariupol, che la Ue, su suggerimento di Kiev e senza produrre documentazioni, attribuisce alle milizie. La Ue auspica anche misure contro le «attività di disinformazione» russe. Uniche eccezioni nel coro euroatlantico, Grecia e Cipro, contrari alle nuove sanzioni. E il Comitato di monitoraggio del Consiglio d’Europa ha votato la risoluzione presentata dalla Gran Bretagna e appoggiata da Ucraina, Polonia e Paesi baltici, per privare la delegazione russa del diritto di voto e del diritto di far parte degli organi direttivi dell’Assemblea