Al momento non sembrano esserci reazioni di particolare rilievo da parte di Mosca alle dichiarazioni fatte da dirigenti della Nato, secondo cui sarebbe salito a 20mila unità il numero di soldati russi alla frontiera con l’Ucraina e che il Cremlino, dietro l’apparente creazione di un corridoio umanitario, si starebbe preparando a entrare nel sud est del paese, dove si fanno ogni giorno più sanguinosi i combattimenti tra le truppe governative di Kiev e i reparti di nazionalisti e mercenari stranieri, da una parte, e miliziani delle repubbliche indipendenti dall’altra.

Che si tratti di una ulteriore guerra di nervi dei vertici atlantici, in vista di un più diretto coinvolgimento della Nato nel paese e del suo formale ingresso nell’alleanza? Proprio tre giorni fa il Pentagono aveva risposto con un diniego alla richiesta di Kiev per l’invio urgente di armi americane da impiegare nel Donbass. Stando a Politikus.ru, l’addetto stampa del Pentagono, contrammiraglio John Kirby aveva dichiarato che non ci sarebbe stato nessun invio né di caccia F-16 né di complessi antiaerei e anticarro: «Il nostro aiuto rimane di tipo non letale. Gli Stati uniti non intendono ricorrere a una soluzione bellica della situazione in Ucraina», aveva detto Kirby. Che Washington punti a tenersi indietro, mandando avanti forze Nato?

D’altronde, le truppe di Kiev, pur senza gli aiuti americani, continuano a bersagliare le regioni e le città di Donetsk e Lugansk (sempre più prossime alla tragedia umanitaria) con lancio di razzi e cannoneggiamenti, di cui fanno le spese più sanguinose i civili, mentre i combattenti delle milizie di autodifesa hanno sinora dato parecchio filo da torcere ai soldati governativi. Secondo fonti del Dipartimento di frontiera del Fsb russo, dallo scorso aprile a oggi sono oltre 800 i militari ucraini che hanno oltrepassato il confine nella regione di Rostov, per sfuggire all’accerchiamento da parte dei miliziani e chiedendo rifugio: poco meno di 450 solo nella notte tra sabato e domenica scorsi. Ieri, circa 200 di essi sono stati condotti indietro al varco di frontiera di “Veselo-Voznesenk”. All’invito del Ministero degli esteri di Mosca, rivolto ai giornalisti stranieri accreditati, a incontrare i militari ucraini, prima del loro rimpatrio, sembra che un solo americano abbia detto sì, nonostante i media statunitensi siano presenti in forze in Russia. Commentando il fatto, il Presidente del Comitato per gli affari esteri della Duma, Aleksej Pushkov, ha detto «i media americani sono finiti; ora sono diventati una sezione del Dipartimento di stato».

Tra l’altro, è di ieri la notizia, ripresa da Ria Novosti, secondo cui soldati della guardia nazionale ucraina del battaglione “Ajdar”, fatti prigionieri dalle milizie del Donbass, avrebbero raccontato che alcuni loro commilitoni vengono pagati fino a 3mila $ al mese e, per la distruzione di un mezzo corazzato o l’uccisione di un comandante delle milizie, sono premiati con 50mila $. Alla domanda su chi paga, avrebbero risposto «il signor Kolomojskij», specificando chiaramente ciò che da tempo compare sui mezzi di informazione russi, cioè che Igor Kolomojskij (al 3° posto dei magnati ucraini nella classifica di Forbes) da mesi stia sponsorizzando la Guardia nazionale e “Settore di destra”, nella sua campagna di conquista del Donbass, a spese di altri oligarchi in precedenza vicini all’ex Presidente Janukovic.

Intanto, mentre continuano i bombardamenti su Donetsk, sul piano diplomatico il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha smentito ieri sera la notizia secondo cui Mosca si appresterebbe a chiudere il proprio spazio aereo alle compagnie occidentali.

Intanto, il Presidente Putin ha firmato il decreto “Sulla applicazione di talune misure economiche speciali per garantire la sicurezza della Federazione russa” – già entrato in vigore – e il governo russo sta già stilando l’elenco dei prodotti agricoli, materie prime e prodotti alimentari (di provenienza da paesi che appoggiano le sanzioni contro la Russia), che non possono essere importati nel Paese. Il passo rappresenta la risposta di Mosca alle sanzioni introdotte da Stati uniti e Unione europea nei confronti di banche, imprese e cittadini russi.